Sotto l'ombrellone...cuffie
Tu cosa porti in vacanza, libro o audiolibro? Noi entrambi! Ferie, news, appuntamenti estivi e voli pindarici condivisi.
Valigia minimalista. E i libri come li porti?
Tra ebook e audiolibri possiamo viaggiare leggeri, ma siamo sicuri che poi non ci scappi l’acquisto d’impulso da portare in spiaggia?
Per molte persone estate e vacanze sono sinonimi di “tempo per leggere”, e a noi piace pensare che, oggi, leggere possa liberamente includere carta, inchiostro digitale e cuffiette.
Tra abbonamenti di lettura o di ascolto, promozioni in libreria e mercatini dell’usato, l’estate è sicuramente una stagione felice per chi ama leggere, e pare che il genere più gettonato sia il giallo; non ci stupisce affatto, considerato che il thriller è uno dei generi più ascoltati sia nell’audiolibro che nel podcast.
Se ami il genere abbiamo un suggerimento per te: Agatha di
Noi non siamo sicuri esista una stagione più felice per leggere, ma ci piace pensare che ogni scusa sia buona per scoprire una storia ;)
E noi?
Noi stiamo passando l’estate tra spettacoli, Maria Grazia è stata impegnatissima con Ridere d’agosto, mentre Francesco, Sandro e Valentina si stanno dividendo tra studio e progetti per il nuovo anno, ma troveremo il tempo per qualche sana lettura ;)
Agosto e Meritate Ferie
In agosto le lezioni live di academy sono in vacanza; riprendiamo a settembre ;)
In realtà potrebbero spuntare laboratori di podcasting e audiolibro a sorpresa (ma io non vi ho detto niente!!!) e arrivano i nuovi corsi appena registrati, perciò anche i nuovi iscritti non resteranno a bocca asciutta!
Gli iscritti in community (quindi tutti gli ex corsisti e i corsisti attuali) hanno già ricevuto un’anteprima dei progetti autunnali ma cominciamo a spoilerare anche qui che Sandro Ghini comincerà un suo ciclo di lezioni/laboratori live…su cosa?
Beh, non possiamo esagerare con gli spoiler, ma possiamo darvi un paio di indizi: Sandro è docente di podcasting dal 2018 presso l’Università di Genova e dal 2022 anche per Milano Bicocca, si occupa di comuncazione e strategia digitale dal 2006 e produce podcast…su cosa farà formazione?
Sentire per credere?
Maria Grazia Tirasso
Per verificare l’esattezza di un’affermazione si dice vedere per credere, e allora perché non sentire per credere? Forse perché nella storia, il senso più importante è sempre stato la vista? Chissà… Essere privi della vista nei miti classici spesso era segno che il personaggio era dotato di una qualche qualità importante, a volte divinatoria, come nel caso dell’indovino Tiresia o del poeta Omero. Essere sordi è un po’ meno romantico, al più ci suscita pietà (“Povero Ludwig chissà come faceva a comporre?”)
Ma il senso dell’udito è davvero meno importante di quello della vista? Ovviamente non è il caso di fare una classifica, però qualche riflessione sì: la vista può ingannare chi osserva se il soggetto ha un difetto oppure se ci sono condizioni ambientali che ostacolano il vedere come la nebbia il fumo… l’udito anche ci inganna in caso di deficit e di interferenze ambientali, ma inganna anche se chi trasmette vuole ingannare. Fatti salvi i giochi di illusione ottica che sono dichiaratamente fatti per ingannare o stupire, noi vediamo ciò che è ma possiamo ingannarci se un suono viene imitato; per esempio il richiamo degli uccelli, o una voce umana…sentire spesso non basta a farci distinguere un suono autentico da uno riprodotto (in quanti film gialli lo sparo era registrato e questo creava l’alibi al colpevole?!)
Quindi possiamo dire che con il suono può imbrogliarci più facilmente? Forse sì…
Questo dovrebbe preoccuparci? No, perché invece apre una porta sulle infinite possibilità che i suoni hanno nella loro produzione e nell’ascolto e se ci riflettiamo, ci incoraggia a pensare che il suono della nostra voce è altrettanto ricco di possibilità: uno scrigno che spesso teniamo chiuso, con dentro tanti gioielli.
Mi fa male la faccia
Francesco Nardi
Recentemente ho avuto il piacere di conoscere un musicista americano, in Italia per il perfezionamento dei suoi studi in materia.
Il suo è uno strumento a fiato, il flauto traverso, e data la mia passione atavica per l’oggetto in questione, immancabilmente l’ho (letteralmente) subissato di domande.
Tralascio ovviamente gli aspetti tecnici, ma uno di questi ve lo voglio riportare perché riguarda da vicino la voce: i muscoli, in particolare quelli fonatori.
Io è da mo’ che desidero imparare a suonare il flauto traverso, ma come ogni principiante di qualsiasi campo ben sa, gli inizi sono sempre irti di difficoltà (mica è facile imparare a scalare una montagna, qualsiasi essa sia).
In questo caso (al di là del fatto di soffiarci dentro come si deve), tener ‘sto tubo in orizzontale, innaturalmente sbilanciato a destra, con le dita che devono scendere e alzarsi per schiacciare oppure rilasciare un sacco di tasti, chiavi e chiavette, uno/a dopo l’altro/a, (a tempo!), fa sì che ben presto le mani si riversino in piazza con manifestazioni di dolori articolari… La rivolta si allarga in men che non si dica: alle mani si aggiungono le braccia (in particolare gli avanbracci, i più facinorosi). Basta!!! Cos’è questa novità?!! Non l’abbiamo mai fatti ‘sti movimenti… Fanno male (porca di quella paletta vostra!!!).
In breve, l’istinto della resistenza al Nuovo fa… incrociare le braccia (che, diciamolo, per suonare il flauto non è il massimo).
Ne parlo con il mio amico flautista, il quale in un istante è riuscito a dissolvere tutte le istanze sindacali del mio corpo:
“Sai, quando ho dovuto imparare bene la vostra lingua per rimanere qui in Italia a lavorare, alla sera, dopo aver studiato e provato a parlare italiano tutto il giorno, tutte quelle ore a muovere in maniera completamente diversa i muscoli della mia bocca per articolare il suono delle parole come fate voi senza rendervene nemmeno conto (in maniera così diversa da chi parla inglese), ebbene… mi faceva male la faccia”.
Non c’è bisogno dei neuroni specchio per rifletterci su.
Ognuno di noi fa fatica quando impara qualcosa di nuovo. Piccolo o grande che sia, l’apprendimento ci accompagna sempre, più o meno delicatamente, fuori dalla porta della casa del nostro confort.
A volte lo fa con tanta asprezza che psicanaliticamente rimuoviamo addirittura il ricordo e lo teniamo ben nascosto nel nostro inconscio… Quanti di noi ricordano, nel dettaglio, la fatica bestia di imparare a leggere e a scrivere? Quanti anni ci abbiamo messo a riuscirci, e quanti millisecondi ci mettiamo ora a decodificare una lettera, una parola, una frase che ci appare, magari anche solo alla coda dell’occhio mentre siamo in auto e vediamo una scritta stradale oppure una pubblicità.
Si fa, si fa.
Prima fa un po’ male la faccia, poi ci si riesce.
Sì, penso che imparerò a suonare il flauto.
I 7 metalli che devi conoscere
Valentina Ferraro | La Musifavolista
In una delle mie vite passate, sono stata operatrice olistica e ho studiato nonché maneggiato le campane tibetane; parliamo davvero di parecchi anni fa, fatti di prove 4 sere a settimana, concerti, incisioni, lezioni di canto e tanti sogni nel cassetto da scrivere in tablatura per ukulele.
Una sera, seduta a tavola con una persona a me cara, parlo di queste campane tibetane dicendo che me ne sono innamorata e che avrei voluto seguire un secondo corso a tema per usarle in sessioni nell’associazione culturale che co-gestivo all’epoca. Questa persona strabuzza gli occhi e mi risponde «…innamorata anche di questo?!?», stupita e anche un po’ sconcertata dal fatto che facessi con passione molte - a suo avviso troppe- cose: dipingevo, imparavo a suonare l’ukulele, scrivevo pezzi, cantavo, facevo incensi e candele, mi formavo come operatrice di auto-mutuo-aiuto, studiavo cnv, creavo bigiotteria, seguivo corsi olistici di varia natura e lavoravo come dipendente per la GDO.
Sono sempre stata molto attiva e, sfortunatamente per me, molto curiosa di imparare nuove cose.
Così fa un bel respiro, mi guarda fisso negli occhi e mi dice: «So che ti piacciono, ma sei sicura di voler dividere il tuo tempo in così tante cose, senza effettivamente specializzarti in nessuna di queste? E, nello specifico, trattandosi di discipline olistiche -che quindi sono di natura peculiare e non sempre incontrano il favore della scienza né della medicina- sei sicura di farti bastare due corsi? Se mi dici che ami una cosa, allora quell’amore voglio sentirlo. Voglio dire: se vuoi davvero buttarti nelle campane tibetane, allora mi aspetto che tu sappia TUTTO delle campane tibetane, persino la storia nei secoli di ogni singolo metallo di cui sono composte [sono 7, nda] e il nome di battesimo della madre del monaco che le ha forgiate. Se mi rivolgo a te, voglio sapere che sei la persona di cui posso fidarmi perché ha cercato e studiato tutto ciò che poteva cercare e studiare in merito. Voglio sapere che quando mi dici che ami quella cosa, quell’amore è vero e brucia. Se no sono solo infatuazioni, e quelle le lasciamo a chi l’amore non lo conosce. Ora dimmi, è amore quello che provi oppure no?”
Spoiler: la risposta, quella vera, era no.
Dal suo punto di vista, portavo avanti tante cose in maniera approssimativa, senza effettivamente focalizzarmi sul lungo termine su qualcosa e mi fece questo discorso con quel peculiare tipo di preoccupazione che hanno le persone quando pensano che stai facendo scelte non ottimali. Qualcuno potrebbe trovare un ragionamento simile “duro” o “limitante” ma per me fu illuminante: quale, fra le tante, era la passione che valeva la pena per me portare avanti? Quale avrei voluto non abbandonare mai e tenere stretta al cuore al punto da svilupparla in qualcosa di più strutturato, magari una professione?
Fu allora che cominciai a capire alcuni aspetti croce-delizia del crescere: fare i conti con i propri obiettivi. E fu lì che cominciai a capire che, di obiettivi, non ne avevo. E non furono nemmeno quelli gli anni in cui me li porsi davvero, ma accettai quella parte del diventar grandi che -per alcune persone, me compresa- comporta fare delle scelte.
Dunque tra scelte e non-scelte lasciai la dimensione olistica nel cassetto dei ricordi, uscii dall’associazione, appesi l’ukulele al muro e mi dedicai alla sola voce. Sai già che per un certo periodo ho appeso anche il microfono al chiodo, così come sai che alla fine la mia specializzazione è arrivata con l’audiolibro, legando voce-musicalità-storie-persone-consapevolezza. Le campane? Mi piacevano, ma non le amavo, così anche quelle sono rimaste a lungo in un armadio, coi loro 7 metalli, e ora sono con me negli studi di Genova, a farmi compagnia mentre la vita prosegue.
In altri capitoli della mia storia ci sono paragrafi dedicati anche a quella persona, che è finita nel cassetto dei ricordi con tutte le incisioni di quegli anni, ma di cui riporto questo ragionamento bene a mente ogni volta che mi chiedo se vale la pena continuare a specializzarmi in qualcosa oppure no.
Ed è un ragionamento che voglio condividere anche con te, se ti avvicini alle professioni della voce: quanto ti stai specializzando e in cosa?
Hai chiaro il tuo obiettivo?
Sai davvero ciò che c’è da sapere nel tuo ambito?
Hai allargato i tuoi orizzonti rispettando le tue possibilità?
Stai scegliendo consapevolmente?
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Baci & abbracci
Ci risentiamo tra qualche settimana con aggiornamenti sul progetto super top-secret11 e nuove chiacchiere davanti ad un caffè.
Buona voce a tutte/i! 💋
Valentina, Maria Grazia, Francesco e Sandro