Mi dai un feedback? E altre mirabolanti avventure...
Quando diamo/chiediamo/cerchiamo un feedback sulla voce -e non solo- entriamo nel mondo del giudizio, dell'aspettativa e del mutuo aiuto. Oppure no? Ne parliamo insieme :)
“…e tu che ne dici, sono stata brava?”
“Sii onesto, non mi offendo eh?”
Una domanda innocua e pericolosissima: se la performance non ci è piaciuta cosa si fa in questi casi?
Si dice quel che si pensa? Si mente spudoratamente? Si dà un colpo al cerchio a uno alla botte?
Quando invece non ci viene posta la domanda ma avremmo decisamente qualcosa da dire a riguardo, meglio tacere o restituire l’impressione ricevuta?
E infine, il feedback di un insegnante come e quando dovrebbe arrivare? Cosa lo rende diverso da altri?
Oggi parliamo di feedback, di restituzione, di pareri (richiesti e non) come sempre con un orecchio di riguardo alla voce.
Benvenute/i/ə a Mettiamoci la Voce!
Nutrire o avvelenare?
Maria Grazia Tirasso
Dentro la parola feedback c’è feed, nutrimento, quindi ogni feedback ti fa crescere perché nutre.
Così mi fu detto alla scuola per counselor e per un po’ questo concetto continuava a girarmi in testa… spesso pensavo che quel che ingurgitiamo potrebbe non essere sempre nutriente: è pieno di cibo spazzatura in giro! E poi riflettevo: la saggezza popolare ci viene in soccorso con “Quel che non strozza ingrassa”. Già, ma se invece strozza? Dovremmo distinguere qual è la mano che porge quel cibo. Una mano amica, accudente, accogliente, o Lucrezia Borgia sotto mentite spoglie? Quindi un feedback ce lo dobbiamo ingollare perché nutre sempre o siamo legittimati a fare dei distinguo e, molto educatamente, (magari non in chiaro) rispedirlo al mittente se abbiamo un sospetto di dolo? Ma il significato della parola mette l’accento su chi lo dà, o su chi lo riceve questo benedetto feedback?
Salomone accorri in mio aiuto! Andrebbero bene anche i padri latini col loro In medio stat virtus…
Ma torniamo a bomba...torniamo a voce, anzi!
Qual è il vero rischio di un riscontro dato da chi non è abbastanza preparato o imparziale? Che il destinatario si possa fissare su quello che vive come un giudizio e non come la condivisione di un’opinione. Il feedback non deve mai essere una sentenza, ma un confronto, la restituzione di una impressione oggettivizzata il più possibile. Spesso chi parla di voce, lettura a voce alta, recitazione, tende a giudicare, ma non siamo in tribunale! Oppure a contrapporsi: “io la farei così”.
Anche questo non serve. Tu sei tu, io sono io! E allora? Allora, se ne sappiamo un po’, cerchiamo di restituire cosa ci è arrivato e magari poniamo domande che cerchino di entrare dentro alla restituzione vocale di una lettura, di un brano teatrale: perché usi quel tono? come mai cambi registro così spesso? quella velocità eccessiva mi ha impedito di seguirti bene, la tua articolazione mi pareva imprecisa non ho colto molte parole… questo sempre che vogliamo mettere il focus su quel che non va; un feedback può anche essere positivo, ma anche in questo caso, se vogliamo crescere anche noi che diamo il feedback, cerchiamo di basarci su parametri oggettivi: non basta dire “Mi è piaciuto”, serve di più “Mi è piaciuto perché…” questo ci abitua a entrare nel flusso, ci allena alla critica intesa nel senso etimologico di esame, arte del distinguere le cose secondo criteri precisi.
In quest’epoca in cui si è giustamente rivalutata l’importanza di una sana alimentazione, vediamo di cibarci di feedback davvero nutrienti e quando tocca a noi restituirli, cuciniamo per bene le nostre parole, perché, se non stiamo attenti, possono risultare tossiche.
Io vorrei…non vorrei…ma se vuoi
Francesco Nardi
A chi non è mai capitato di scoprire che le parole di una canzone raccontassero ancora meglio di noi quanto sentiamo dentro?
Con il tempo ho imparato a farne un esercizio per le mie riflessioni: quale autore riesce con le sue parole a dire ancora meglio di me quello che sto provando?
Non mi capita così spesso (e per fortuna… Sai che tristezza la sua applicazione sistematica?), ma è successo ancora una volta non appena Sandro ha proposto il tema per questa Newsletter. Feedback. È stato un attimo e:
Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi (Battisti / Mogol).
Sì, io vorrei il tuo feed back perché quello che ti è arrivato è frutto di un lungo lavoro; di un lavoro che mi appassiona e che spesso è andato – proprio per questo – oltre quello che io non avessi mai immaginato; di un percorso che da sempre non ha senso proseguire da solo…
No, non vorrei il tuo feed back perché sono conscio dei miei limiti che tu così bene potresti indicarmi e bloccarmi di conseguenza; del mio ego che si offende in particolar modo quando si rende conto che – sì – ha torto; della mia Sindrome dell’impostore che ‘manco Socrate riesce a guarirmi…
Ma se vuoi. Lo confesso: il filosofo che è in me non è riuscito a non pensare alla Tesi/Antitesi/Sintesi di Hegel… Ma non è questo il punto. No. Nel feed back prima del se (tu) vuoi abita il desiderio di dirti e darti un qualcosa. Piccola o grande che sia. Con gli anni ho imparato che la sua misura dipende… dai feed back che ricevo.
E da allora solo oggi non farnetico più /
a guarirmi chi fu /
ho paura a dirti che sei tu. /
Ora noi siamo già più vicini /
io vorrei… non vorrei… ma se vuoi.
Feedback e bias
Sandro Ghini
Online perché si chiede un feedback? Quando un’azienda, un professionista o un creator ti chiede una recensione (una forma di feedback strutturato) perché lo sta facendo? - E beninteso, fa benissimo a farlo -
Possiamo elencare motivazioni più o meno romantiche e più o meno relazionali ma voglio concentrarmi solo su una in particolare:
Per poter sfruttare il bias di riprova sociale; [i bias cognitivi sono dei pregiudizi mentali inconsci ed automatici] un bias per cui le persone tendono a ritenere più validi i comportamenti o le scelte effettuati da un gran numero di persone e uno degli elementi cardine per stimolarlo è l’utilizzo di recensioni e testimonianze.
Ipotizziamo un possibile scenario: nel vostro gruppo di amici tutti parlano con grande entusiasmo di una specifica serie tv, sarà più o meno probabile che alla prossima serata Netflix quando vi capiterà davanti proprio quella serie proviate a dargli una possibilità?
Vedere le opinioni positive, magari condite di 5 stelle, di altre persone come noi su siti, prodotti e podcast aiuta enormemente a creare fiducia e stimolare una conversione (acquisto, ascolto, contatto etc) e se fatto con etica aiuta a partire con il piede giusto nella costruzione di una relazione.
E giusto a proposito di Bias cognitivi consiglio vivamente Inconsciamente, bias cognitivi: psicologia e finanza un podcast con la voce di Federico Buffa prodotto da Dr. Podcast,
Torneremo presto a parlare di Bias, promesso.
P.S. Se hai ascoltato il nostro podcast e ti piace, supportaci mettendo 5 stelline su Spotify o Apple Podcast (qui puoi scrivere anche una recensione).
Se non lo hai ascoltato fidati delle circa 1500 persone che ogni mese ci danno fiducia e ascoltalo :)
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Aspetta che scendo dal piedistallo e ti dico…
Valentina Ferraro | La Musifavolista
L’argomento feedback è spinoso: avrei bisogno di circa 6 ore libere, 1 calice di bianco, pop-corn e 22/23 riletture a freddo per poterne parlare quanto e come vorrei.
Facciamo che riassumo per punti e restringo, se no la proiezione astrale di Alessio Beltrami mi stacca la corrente al pc.
Cos’è il feedback
Tecnicamente è una valutazione o un giudizio, espresso con l’intento di restituire il livello di gradimento o di efficacia di una data azione.
Dunque il feedback, quando parliamo di voce e di lettura espressiva, può interessare una vastità di ambiti diversissimi: l’efficacia della lettura, la piacevolezza della voce, la coerenza narrativa, la recitazione vocale, la gestione dei respiri o del microfono, la presenza scenica su un palco…e via per l’infinito.
Se si chiede un feedback, quindi, conviene specificare per cosa lo si chiede,
altrimenti si rischia di entrare nel territorio del fraintendimento.
Esempio fresco di giornata: un mio collega narratore mi chiede un parere sulla caratterizzazione delle voci femminili in una lettura che ha fatto, perché teme di averle caricaturizzate troppo e ha il dubbio non siano funzionali all’ascolto.
Non mi ha chiesto “come ho letto?" o “o “cosa ne pensi del modo in cui faccio le voci femminili?” e nemmeno “come altro potrei fare le voci femminili?” dunque il mio feedback si limiterà a restituirgli il mio parere sulla funzionalità dell’ascolto sulle voci femminili lette in quel modo.
La mia riposta non può contemplare la mia visione sulla lettura, la mia ottica sull’uso della voce, il mio gusto personale né altro che non sia in risposta diretta a “sono funzionali o sono troppo caricaturizzate?”
Il feedback vuole essere utile e costruttivo per chi lo chiede, non spostare l’attenzione su chi lo da (e sul peso specifico della sua bravura/competenza/eccetera), perché il feedback è uno strumento di relazione artistico-professionale (d’aiuto).
Per i più curiosi: sì, le voci sono molto interessanti, fatte bene, non caricaturizzate e perfettamente funzionali; e indovina un po’? Il dubbio gli era venuto perché un amico gli ha detto che “non gli piaceva molto come aveva fatto le voci femminili”…ah, santi feedback non richiesti!!!
Chi dà il feedback
Nella teoria più teorica, il feedback arriva in risposta ad una richiesta.
Il discorso era chiaro? La voce si sentiva bene laggiù? Ti suona metallica la voce in questo editing? La lettura era troppo/troppo poco interpretata?
Eccetera…
Eppure non sempre il feedback viene chiesto; a volte, semplicemente, arriva
(come il Natale, hai presente?)
Nella mia personalissima visione di formatrice/facilitatrice il feedback vive di vita propria solo nel processo didattico e nel resto del tempo va espresso solo previa specifica richiesta.
All’interno della relazione didattica il feedback è un momento di incontro con le difficoltà o le fragilità dell’altro; un incontro da fare sulla punta di un piede solo, come le ballerine di danza classica fanno l’arabesque.
In questa posizione sembra che il corpo sia senza peso e che la ballerina la esegua con la stessa scioltezza con cui io apro un pacchetto di Oreo1 ma in realtà quest’impressione è data dalla forza, dall’eutonia e dall’equilibrio che vengono messe in gioco per eseguire la figura.
Lo stesso vive nel feedback in ambito didattico: un gioco di equilibri che rispettano la delicatezza del rapporto, la sensibilità individuale, il meccanismo di apprendimento personale, gli obiettivi del del discente, le competenze dell’insegnante, l’etica e i valori della disciplina; tutto nell’interesse che quel feedback sia costruttivo e non distruttivo.
Uscire dal sistema pseudo-meritocratico scolastico, non è semplice, specie quando parliamo di discipline artistiche, umanistiche o olistiche, come l’espressività della voce;
un feedback, sempre dal mio personalissimo punto di vista, deve aiutare a prendere consapevolezza di limiti e confini interiori, non può e non deve stabilire il grado di valore di un individuo, quanto più “fare una foto” alla situazione attuale per orientarsi nella mappa. Quale mappa? Quella del cambiamento.
Non a caso ho parlato di consapevolezza, perché è solo quando prendiamo coscienza di dove siamo e dove vogliamo essere che possiamo capire davvero se abbiamo i mezzi, il carburante e la voglia di andarci; identificare i nostri limiti e confini, ci mette in grado di capire se vogliamo/possiamo spostarli e fin dove.
Ecco a cose serve il feedback, secondo me, ed ecco perché trovo importante che arrivi solo su richiesta: ciascuno di noi ha i propri tempi nel processo di cambiamento, e alcune fragilità possono essere esposte durante il tragitto. Io, quelle fragilità, voglio rispettarle.
Non ultimo, trovo l’elargire feedback non richiesti un comportamento materno disfunzionale, che vorrei evitare di avere e di ricevere.
Ma, ripeto, questo è il mio parere personale :)
L’’unica eccezione la vivo nei legami affettivi, esprimendo l’eventuale e facoltativo feedback con i dovuti modi e tempi, e sempre all’interno di un contesto dialogico.
Se una mia carissima amica vuole partecipare ad un contest canoro e sceglie una canzone in cui sento delle difficoltà che possono minare il suo desiderio di vincerlo, posso avvicinare l’argomento con estrema delicatezza per capire se il mio feedback possa essere o meno gradito. E se non è gradito, taccio.
Questo perché la mia carissima amica potrebbe voler partecipare per il semplice gusto di partecipare e portare un brano che ama sul palco quindi, prima di sparare nel mucchio, sarà mia premura capire meglio la situazione.
Non ultimo vorrò capire anche perché io senta il bisogno di dare un feedback: perché ho a cuore la sua felicità? Per spolverare il mio ego? Per contribuire al suo benessere? Per contribuire al mio?
Pensaci, sono tutti scenari differenti ;)
Per approfondire, consiglio Le Parole sono Finestre oppure Muri di M. Rosenberg; un delizioso trattato sulla Comunicazione Non Violenta, che ben spiega quanto agiamo mossi dai bisogni, e come sia importante esplicitarli a noi stessi e al prossimo.
Lo sapevi che gli Oreo sono fatti senza latte e senza uova? :)