Voce, formazione, divulgazione
Di quello che abbiamo vissuto e che viviamo nella formazione, nella divulgazione e nella crescita con e nella voce
È nato prima l’ascolto o il suono?
Da questa domanda ne abbiamo fatto un episodio e non solo: sulla scia di questo quesito, abbiamo cominciato a riflettere su alcune caratteristiche dei percorsi di formazione e dei processi di apprendimento, perché se è vero che nasciamo con le orecchie già attive e -invece- impariamo a fonare durante la crescita, allora ciò presuppone che tutto il nostro viaggio di vita sia un percorso di formazione alla voce e alla libera espressione di noi stessi.
Dunque in ogni giorno e in ogni momento siamo aperti all’apprendimento, in un gioco di dare-avere costante e continuo che ci vede oggi studenti e domani insegnanti su “come” si faccia voce.
Se dunque questo processo inizia con il nostro primo vagito e termina con il rantolo dell’ultima espirazione, cosa accade nel mezzo se non siamo consapevoli del nostro percorso?
Quando non siamo coscienti di quanto importante sia quel delicato allineamento interiore che ci consente di essere-fare-dire in armonia con ciò che sentiamo?
Di nuovo, la parola d’ordine è consapevolezza, delicata caratteristica che ci consente di trovare sempre il punto preciso della mappa in cui ci troviamo, sia dentro che fuori;
di consapevolezza, apprendimento e scambio, ragioniamo oggi, guidati dal fil rouge di un concetto evanescente: dove agisce un processo di cambiamento attraverso un percorso di formazione e noi che ruolo abbiamo in tutto questo?
Ed ecco i nostri pensieri in ordine sparso, da punti di vista diversi e non necessariamente collegati ma perfettamente in linea con l’idea che ciascuno di noi viva di mondi interiori che entrano in risonanza con i concetti che ci esponiamo a vicenda.
Le tre dimensioni della Voce
Maria Grazia Tirasso
Trovo che la voce abbia tre dimensioni: terrena, aerea, interiore, e vorrei sintetizzarne qui le caratteristiche e le funzioni per una migliore efficacia nel suo uso.
Nella dimensione terrena, la voce si considera in rapporto al corpo che la genera, alla respirazione che è alla base dell’emissione.
Perché definisco terrena questa dimensione? Perché è connessa al radicamento e radicarsi significa trovare il contatto con la realtà del proprio corpo, in connessione con la terra che ci sostiene, quindi avere la cognizione delle proprie radici perché emettere la voce è un’azione molto concreta che prevede consapevolezza e conoscenza della nostra fisicità, a partire dalla respirazione.
La consapevolezza del corpo è la sua percezione in senso più globale, significa sentirne i confini spaziali e saper ascoltare tutti i messaggi che ci manda; occorre poi conoscere lo strumento vocale: l’anatomia e la fisiologia dell’apparato fono-articolatorio, le caratteristiche e potenzialità del nostro suono.
La dimensione terrena è quindi quella che ci consente di sfruttare al meglio le peculiarità della nostra voce, ne favorisce l’espansione libera e piena.
La dimensione aerea riguarda la voce che esce da noi e viaggia nell’aria, quindi in rapporto allo spazio attorno a noi, ma anche al tempo che la definisce nel suo “svolgersi”, ai destinatari delle nostre parole (o del nostro canto).
“L’ambiente in cui la voce si propaga, è lo “spazio della comunicazione”, in cui si attiva la trasmissione di concetti, emozioni ecc.. Il nostro suono definisce lo spazio esterno ed è definito da questo in una sorta di reciprocità; la dimensione aerea amplifica, muta, rimanda il suono della voce… pensiamo alla differenza che c’è nel parlare in una stanza, rispetto ad una chiesa, o una vallata: questi luoghi accolgono e restituiscono il suono in modo diverso e noi definiamo questi spazi dall’ascolto del suono che lì si diffonde.
Se nella dimensione terrena la voce nasce, in quella aerea vive.
La parola chiave è “ascolto” da declinarsi sia verso l’esterno che verso noi stessi.
Infine la dimensione interiore è quella che accorda la voce alle nostre emozioni, agli stati d’animo, ai pensieri e più in generale al nostro mondo personale: è l’espressione degli strati più profondi del nostro essere.
Questa dimensione prevede un costante rapporto di confidenza con noi stessi, e ci conferma che, essendo la voce qualcosa di molto personale e intimo, può diventare efficace veicolo di espressione del nostro mondo interiore, ma anche, se vogliamo, costruzione sonora dietro la quale nasconderci.
Il rapporto con l’interiorità va coltivato e cresce con noi così come la voce va “curata” affinché sia in armonia con il pensiero che sottende la parola, e sia percepita come autentica prima di tutto da noi stessi.
L’ autenticità non è un ideale astratto, ma un processo graduale di consapevolezza attraverso il contatto con il nostro nucleo che restituisce all’esterno un suono curato ma non finto, pulito ma non privo di anima, ricco e semplice al tempo stesso.
Unico.
Sugli stili di apprendimento
La formazione di Giovannino
Francesco Nardi
Questo articolo è dedicato a Giovannino che, come qualunque essere umano di qualsiasi età, impara.
Come ogni persona ha caratteristiche che lo rendono assolutamente unico rispetto agli altri suoi simili, anche nell’ambito del suo percorso di maturazione intellettuale. E siccome è diverso da chiunque altro, Giovannino avrà un modo tutto suo per apprendere al meglio rispetto alle sue potenzialità.
“Apprendere”. Già il suono di questa parola porta verso un significato che per quanto intuitivo è bene non dare per scontato, non fosse altro che per gustarselo un po’. A(p)-prendere. Prendere verso di sé, prendere dentro sé.
Non esiste un unico modo di apprendere. In realtà ognuno di noi lo fa in mille modi diversi, combinando varie modalità fra loro. Modalità che vanno a formare uno stile di apprendimento unico, la cui definizione è pressoché impossibile stabilire in maniera netta, inequivocabile e oggettiva (sebbene alcuni lo pretendano).
Gli stili sono tanti, e possiamo - ma giusto indicativamente - raggrupparli in sotto-gruppi, tra i quali possiamo trovare le caratteristiche formative individuali (quali sono le sono le competenze formative generali di Giovannino? E quelle specifiche? Quelle tecnologiche? E le sue esperienze pregresse in questi vari campi?); le modalità sensoriali (Giovannino predilige quelle uditive, legate al suono? Quelle visive, legate alla vista? Quelle legate al fare concreto, ovvero cinestetiche?); le caratteristiche ambientali (ad esempio accessibilità, confortevolezza, luminosità, sonorizzazione, temperatura dei luoghi dove Giovannino è solito apprendere); gli stili cognitivi (come tende a ragionare Giovannino? È più analitico o sintetico? Intuitivo o sistematico? È impulsivo o riflessivo?); i tratti socio-affettivi (Giovannino tende ad essere più estroverso o introverso? E qual è la sua Rete sociale, sia del passato, del presente che quella con cui verosimilmente potrà entrare in contatto in futuro?).
Non si esauriscono certo qui tutti i colori della tavolozza dell’apprendimento di Giovannino. Con l’aiuto di chi lo accompagnerà nella sua formazione, i vari ingredienti degli stili di apprendimento si misceleranno in gradi diversi tra loro fino a strutturare sempre più un suo stile di apprendimento.
Uno stile formativo unico che permetterà a Giovannino non solo di adattarsi al mondo che lo circonda sopravvivendo darwinianamente nella vita, ma anche, se è fortunato, ad avere un bel rapporto con sé e con gli altri; a coltivare la curiosità che non è certo quella del vicino impiccione, ma la sana curiositas dei latini che sempre spinge a cercare cose nuove per sé e per gli altri; ad annoiarsi – sì, anche ad annoiarsi – finendo magari stancamente e per sbaglio in un posto dove mai avrebbe pensato di trovare qualcosa, ed invece ripartire con stupore proprio da lì per un nuovo, entusiasmante viaggio alla scoperta di qualcosa di nuovo (Serendipity); a fare di necessità virtù; a prenderla con filosofia; a imparare l’arte e metterla da parte; a non poterne più di frasi fatte come queste, tanto da buttarle nel cestino per poi ritrovarne altre sulla sua scrivania mentale, magari scritte da lui stesso; a non prendersi troppo sul serio e a non aver paura della propria ignoranza, proprio perché avrà nel frattempo cominciato a comprendere che a ogni intelligenza artificiale lui potrà sempre opporre la sua ignoranza naturale… E che questa non sarà mai una partita persa in partenza (vero, Golia?).
Ma a questo punto mi pare di intuire una domanda (per altro pienamente legittima) da parte di alcuni di voi: “…ma chi è ‘sto Giovannino?”.
Ah, scusate, non ve l’avevo presentato… E allora vi lascio alle parole del suo insegnante, il quale in merito al suo apprendimento diceva (più di 250 anni fa…):
Per insegnare il latino a Giovannino non basta conoscere il latino, bisogna conoscere soprattutto Giovannino.
Il suo maestro era Jean-Jacques Rousseau.
Il video cambia tutto
Di Sandro Ghini
Faccio coming-out!
Mi occupo di podcast per clienti dal 2016, ne insegno all'università dal 2020 e in questi anni ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere tantissimi professionisti e indipendenti del settore, ma in questo momento ho più dubbi che certezze a riguardo del come parlarne in formazione.
Ho avuto un'ulteriore riprova di questa sensazione un paio di settimane fa nella masterclass su voce e podcast che io e Valentina abbiamo tenuto per la Settimana del Podcast a Roma organizzata da Assipod (Associazione Italiana Podcasting).
I miei dubbi principali vengono dal fatto che usiamo una parola "Podcast" per indicare concetti anche molto diversi fra loro. Senza entrare nel mondo della semiotica (lo farò ma non in questa sede) si può però dire che è un problema comune a tutti i nomi di categoria. La parola podcast ci basta quando dobbiamo intenderci a grandi linee sull'argomento della nostra discussione ma non è così quando si passa al piano dell'agire.
State leggendo questa mail in circa 1100 persone e se chiedessi a ciascuno di voi "come si fa un libro?" otterrei una grande quantità di risposte differenti. Risposte filtrate dalle esperienze, dalla conoscenze e dal grado di familiarità che ha ognuno di voi con l'oggetto libro. Qualcuno potrebbe dire che si fa stampando un testo impaginato su fogli macchina che poi vengono tagliati, incollati etc; alcuni altri potrebbero partire dal racconto di come si organizza un trattato mentre altri da come si scrive una storia utilizzando il viaggio dell'eroe etc etc.
Come si può immaginare fare formazione su come si stampa e rilega un libro è profondamente diverso dal farla sulla scrittura; così come è diverso, seppur con più punti di contatto, insegnare a scrivere un romanzo o un saggio scientifico.
Allo stesso modo c'è chi parla di podcast avvicinandolo al mondo radiofonico, chi a quello editoriale o di inchiesta fino ad arrivare al modello late night show televisivo americano. Sbagliano? NO, semplicemente parlano del loro significato della parola podcast e va bene così. Però questo genera chiaramente una bella confusione quando si tratta di capirsi a fondo e creare un substrato di conoscenze condivise.
Ma quindi quale chiave di lettura possiamo condividere per iniziare a capirci meglio?
Una mano in questo senso ce la sta dando la crescita dei videopodcast perché pone l'accento sulla differenza tra contenuti pianificati e contenuti situazionali.
Certo, la differenza più evidente è che in un video-podcast (così come dice il nome stesso) c'è il video. Grazie tante mi potreste dire. In realtà non è tanto il video in se, ma tutte le dinamiche legate all'aggiungere un secondo canale di comunicazione oltre a quello audio, a sparigliare le carte. Potendo mettere a confronto costante due canali il rischio di percezione dissonante per il nostro cervello aumenta a dismisura. E quale aspetto tra maggiore beneficio da questa situazione? Quello della relazione nel qui e ora tra i partecipanti; è il regno del non verbale.
Parlando di produzione la conseguenza principale è proprio lo slittamento del focus verso il pre registrazione: setting, luci, inquadrature, posizione dei partecipanti, equalizzazione dei microfoni, scaletta per temi etc. La post produzione è solo migliorativa ma non creativa. Non dico "buona la prima" ma quasi.
Quando invece il prodotto è solo audio possiamo dedicare molto più tempo alla fase di editing creativo e cesellare il prodotto dalla progettazione alla finalizzazione anche smontando e rimontando tutto dieci volte e re-incidendo delle specifiche parti se occorre. L'attenzione passa sulla qualità del prodotto finale, non su quanti passaggi ci siano voluti. È il regno dell'ex-post. Conta solo il risultato finale.
Ok e allora? E allora in formazione (e anche in fase di stesura del progetto) cerchiamo di tenere sempre ben in mente il tipo di focus del prodotto di cui stiamo parlando: è sulla relazione e interazione tra le voci nel momento o sul risultato finale da raggiungere attraverso diversi step produttivi indipendenti?
Oggi abbiamo solo scalfito la superficie, il viaggio è appena cominciato. Se ti interessa l'argomento o vuoi commentare fammelo sapere usando il tasto qui sotto
Facilitare è un gioco serissimo
Valentina Ferraro | La Musifavolista
Nei percorsi di mindfulness si lavora sullo sviluppo di alcune qualità chiave per affrontare il processo di cambiamento che i protocolli mettono in moto [i percorsi standard di Mindfulness sono organizzati in protocolli poiché nati e applicati in ambito clinico n.d.a.].
Tra queste qualità ve ne è una che amo particolarmente e che sento risuonare da diversi anni: si tratta della “mente del principiante”, ossia quella qualità che rimanda al sapere di non sapere e che consente, quindi, di creare un flusso di scambio continuo tra il docente e il discente.
Ciò che mi spinge a rimarcare il concetto di scambio è l’esperienza attiva di formatrice dal 2008 al 2020 in azienda e ora in ambito voce/lettura espressiva, unita a tutta l’esperienza passiva come studente/discente nelle varie formazioni fatte dal 2012 ad oggi.
Ho abbracciato il concetto di facilitazione e di facilitatrice da quando mi occupo di meditazione; ho deliberatamente scelto di continuare ad usarlo negli ambiti della voce e della lettura espressiva, soprattutto nelle occasioni di Circle Reading®, perché per me il gesto di facilitazione raccoglie in sé tutti i valori in cui credo, gli obiettivi che ho e i bisogni che mi vivono dentro.
Nella mia visione l’esperienza collettiva condivisa, nella voce come nella lettura a voce alta, è l’unico elemento a fungere da “maestro”, poiché attraverso la condivisione in cerchio e l’ascolto, impariamo l’un l’altra, ponendoci in una relazione biunivoca e paritaria; il facilitatore qui ha il compito di incanalare, riportare a terra e contestualizzare ciò che avviene durante la formazione.
Nell’esempio del viaggio dell’eroe, il facilitatore è l’aiutante magico al servizio dell’impresa dell’eroe (il discente) che non è l’unico/a in grado di portare a compimento la propria storia, e quindi la propria formazione.
Cito con piacere Stefano Baroni che, nel suo libro Circular Music edito da SolosMedia, dice questo della figura del facilitatore:
(…) il facilitatore deve avere cura di ogni membro del gruppo, creare le condizioni affinché ognuno possa esprimere liberamente il proprio ritmo e far si che questi risuonino insieme.
In sinergia con il concetto di eufonia che tanto ci è caro in academy, è impensabile non anteporre l’individualità dei partecipanti alle formazioni a qualsiasi forma di retorica stilistico-didattica di taglio frontale; ciò comporterebbe portare le voci verso un adeguamento schematico e rigido, in totale opposizione all’ideale che abbiamo infuso nel metodo AdAgio e che risuona in ogni nostro momento formativo.
Ciascuno di noi ha è unico nel suo asse mente-corpo-voce, e queste diversità sono i veri punti forza perché rappresentano le angolazioni da cui vediamo e capiamo i nostri limiti, ne prendiamo coscienza e proviamo a spostarli un pochino più in là;
questo processo di crescita personale/professionale non può essere forzato, semmai rafforzato e nutrito attraverso la capacità di condividere valori, concetti e passioni.
Il facilitatore fornisce i semi e spiega il ciclo vitale della pianta: il terreno, l’acqua, l’impegno, la cura, le mani nella terra…sono tutte di chi sceglie di voler compiere il proprio viaggio e costruire la propria storia.
Nella mia idea di voce come suono dell’anima, il terreno da coltivare è il nostro spazio sonoro e, per farlo, abbiamo bisogno di una presa di coscienza di come (e dove) siamo, di come (e dove) vorremmo essere, così da sviluppare la spinta propedeutica che rende possibile l’inizio del viaggio.
A quel punto, e solo a quel punto, possiamo trovare sul nostro cammino soglie, caverne, prove e aiutanti magici (o facilitatori) che siano tappe ed esperienza accrescitive.
L’aiutante magico quindi deve saper accettare il ruolo di comparsa nel grande ciclo del cambiamento altrui, con la ferma consapevolezza che ciascuno di noi è l’eroe del proprio mondo.
Mi piace dire e ribadire che il formatore/facilitatore è chiamato a fare un scelta difficile: tenere l’ego un passo indietro e il cuore due passi avanti.
Il tuo viaggio dell’eroe
Dove ti vedi ora?
In che punto della tua mappa?
In quale atto della tua storia?
Se qualcosa di ciò che abbiamo scritto ti è risuonato in qualche modo e vuoi condividere con noi i tuoi pensieri o il tuo percorso, ascolteremo volentieri.
Come sempre buona voce
Maria Grazia, Francesco, Sandro e Valentina
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