Voce e libertà
di Maria Grazia Tirasso
Come possiamo affiancare i due concetti di libertà e voce?
Libertà è la condizione di chi non è prigioniero, non ha restrizioni, non è confinato o impedito. In senso più ampio è la facoltà che abbiamo di agire e pensare in autonomia, secondo le nostre personali scelte
Se è vero che essere libero è non essere prigioniero, pensiamo a quante volte percepiamo la nostra voce – ma anche quella degli altri - come “prigioniera” perché è trattenuta, costretta, sentiamo che non è libera di uscire.
Perché questo accade? Vari possono essere i motivi e tralasciamo quelli che hanno una origine patologica, anatomica o funzionale.
Un primo motivo di costrizione della voce ha a che fare con la respirazione alta che la comprime e che spesso è correlata ad uno stato emotivo forte come l’ansia che, portandoci a contrarre la muscolatura, limita il respiro, limitando di conseguenza l’emissione; c’è poi una “prigionia” che deriva da pensieri limitanti, dall’auto-giudizio o dal ricordo di giudizi negativi di altri (che brutta voce, parli troppo forte, abbassa il tono!) e così ci esce il filino di voce o un suono nel quale non ci riconosciamo perché si è sviluppato per compiacere qualcun altro e non corrisponde veramente a quel che sentiamo; a imprigionare la voce concorrono anche tutti quegli atteggiamenti che ci frenano nella libera espressione del nostro pensiero perché ci sentiamo delegittimati, non all’altezza, indegni, giudicati ecc.
La libertà è uno stato connesso anche alla conoscenza degli obiettivi, dei diritti, del contesto in cui si esercita; è spontanea, cioè non può derivare da sollecitazioni esterne, ma è frutto della nostra volontà, e non può esistere se ci sono coercizioni; l’uso della voce deve esserlo altrettanto; la sfera della conoscenza riguarda, nel nostro caso, i contenuti, ciò di cui parliamo - certo! - ma anche la conoscenza del nostro strumento: essere consapevoli di come nasce e si sviluppa la nostra voce dentro e fuori di noi è il primo passo, poi occorre apprendere le caratteristiche ritmiche e melodiche che possiamo mettere in campo per utilizzarla al meglio, per essere espressivi, per trasmettere contenuti in modo efficace. Una voce monotona e piatta è una voce “prigioniera” perché non si consente di concordare l’espressività con il significato dei contenuti, mettendo un qualche genere di freno alla modulazione vocale.
La volontà entra in campo tutte le volte che scegliamo di esprimerci nel migliore dei modi, per favorire l’ascolto degli altri, allora la tanto agognata spontaneità è davvero conseguenza della nostra volontà comunicativa. La contingenza è, in questo caso, la consapevolezza del presente, il nostro impegno di stare nell’atto del parlare qui e ora, con la certezza che la voce è espressione di noi stessi.
La libertà non può prescindere dal rispetto dell’altro, nell’uso della voce questo significa mettere un ascoltatore nella condizione di ricevere la nostra voce senza fatica: così occorre che impariamo ad articolare per bene, ad usare un volume consono alla circostanza e all’ambiente. Ma dobbiamo rispettare anche noi stessi, cercando di acquisire sane abitudini: non stressiamo la nostra voce, parliamo a volume contenuto se le circostanze non richiedono il contrario (e anche in questo caso possiamo imparare a mandare la voce senza affaticarla), non andiamo su toni che ci sono estranei, magari nell’equivoco di modellare un suono gradevole su imitazione di qualcun altro, non fumiamo e, più in generale, usiamo quelle norme di igiene vocale che ci consentono di salvaguardare il nostro apparato fono-articolatorio e che vanno dal cibo e le bevande che ingeriamo, ai comportamenti vocali e respiratori che teniamo.
La libertà è anche frutto di impegno (intellettuale, etico, morale) e la libertà della nostra voce è il frutto dell’impegno che mettiamo nel formarci, anche affidandoci a professionisti, nello sperimentare con onestà e con costanza le molte possibilità espressive del nostro strumento.
La libertà consente l’autoaffermazione e la realizzazione dei nostri obiettivi, pensiamo quindi come un uso corretto della voce può aiutare ad affermarci, a descriverci e come, alla fine, possa restituire una immagine sonora veritiera di ciò che noi siamo.
Suona e lascia suonare
di Francesco Nardi
Ma perché?! Perché la stragrande maggioranza delle persone ama la musica, e ben poche di loro suonano? Timidezza? Forse in minima parte, ma… Paura di non essere all’altezza? Fuochino… Ok, posiamo pure la lente d’ingrandimento delle analisi sociologiche, psico-pedagogiche, storiche e chi più ne ha più ne metta. Facciamo giusto una riflessione insieme, ok? Io dico qui la mia, semplicemente, poi se qualcuno vuole mi contatta e ne parliamo insieme (scrivetemi, nel caso).
Parto da parole non mie… ma non è che così facendo prendo le distanze! Al contrario: mi faccio aiutare da chi ne sa più di me. Certo le parole scelte per essere citate devono essere fondate, a partire da chi le dice (se un albero ha poche radici e per di più poggia su un terreno friabile abbiamo poche speranze se ci vogliamo aggrappare). Per non influenzare nessuno, prima di rivelare l’autore vi riporto il virgolettato di una sua intervista: << Abbiate il timore di chi crede di sapere tutto, il competente in musica non esiste. Si può capire la partitura, la parte teorica, ma quel che c’è dietro le note non lo sa nessuno, nemmeno io>>. Riccardo Muti (https://www.riccardomuti.com/citazioni-riccardo-muti/).
Però! Quel che c’è dietro le note non lo sa nessuno… Del resto, <<La partitura contiene tutto tranne l’essenziale>>, affermava il grande compositore e direttore d’orchestra Gustav Mahler. Ok, basta citazioni (magari giusto un paio in seguito, se servissero…).
Cosa voglio affermare? Che, a mio avviso, in molti campi della musica c’è troppa rigidità, troppa tensione verso la produzione dell’eccellente … Sia chiaro, ben venga l’eccellenza in qualsiasi campo! A patto però che questa non elimini automaticamente chi non è in grado di raggiungerla! E purtroppo, fa male constatarlo, molti (troppi) non è che non vorrebbero saper suonare uno strumento musicale… No, è che semplicemente non osano! Cosa si sentono dire? “È difficile”, “ci vogliono anni”, “se non hai spirito di sacrificio e abnegazione non ce la farai mai”, e via castrando… Riprendo l’attacco di questo articolo: Ma perché?!
Certo, non ce la farà mai – ad esempio – una persona adulta che decidesse di cominciare da zero ad imparare a suonare il pianoforte con l’obiettivo di eseguire un giorno il Terzo Concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninoff. Temo si tratti di una speranza vana (ha avuto qualche problemino anche il pianista David Helfgott, come magistralmente raccontato nel film “Shine” … Qui una scena cult:
Ecco, forse è proprio questo l’ostacolo: l’asticella. L’asticella, misura, crea aspettative… E, non solo in questo campo. Abbiamo solo che da perdere, con le aspettative (se non le raggiungo mi deprimo, se le raggiungo non ho fatto altro che fare quello che dovevo fare, punto).
Allora, senza farci troppe domande, impariamo a vivere nel concreto la musica: semplicemente Suonando.
Sentite cosa ci dice Yehudi Menuhin uno dei più grandi violinisti e direttori d’orchestra di tutti i tempi (lo so è un’altra citazione… Ma non c’è il due senza il tre, è poi è giusto per la conclusione): << Londra, 1967. La musica non appartiene ai musicisti di professione. È libera come l’aria che respiriamo; tutti noi, perciò, possiamo farne uso. (…) Per questo dovremmo cominciare a praticare la musica. Ogni tanto lo sentiamo tutti il bisogno di gridare; e in tal caso, che cosa più del canto può darci un senso di liberazione? Se ci vien voglia di picchiare qualcuno o qualcosa, che cosa può esserci di meglio che sostituire la persona o la cosa che ci irrita con un tamburo? Col vantaggio, per di più, di uscirne con un senso di appagamento invece che di colpa… scoprendo in noi una disposizione che tutti più o meno posseggono, così come non esiste un uccello che non possa cantare. Ci siete voi, ci sono io, c’è la musica che dorme in ognuno di noi. Andate avanti fiduciosi, sceglietevi il vostro strumento e vedrete se ho ragione o no>>.
Da grandi poteri derivano grandi responsabilità: voce, content creation e relazione.
di Sandro Ghini
Che lo si voglia oppure no siamo entrati nella creator economy, ovvero nell’economia che si basa sulla creazione di contenuti da condividere poi in rete. I social network dal 2010 hanno aperto la strada ma il paradigma è definitivamente cambiato da quando l’obiettivo di questi ultimi è passato dalla creazione di reti sociali all’intrattenimento: più televisione, meno piazza.
Si parla di “economia” perché da questa attività si può guadagnare (tanto o poco non è questa la sede per analizzarlo) e in alcuni casi renderla la propria fonte di reddito principale.
Ok ma creator di cosa? Da Reel su Instagram (ma anche Facebook e LinkedIn) a video su youtube o TikTok fino a dirette su Twitch e podcast per fare solo alcuni esempi di formati e piattaforme.
Cosa lega queste modalità comunicative? Il metterci la faccia... e la voce!
Ogni creator, o aspirante tale, ha la libertà di scegliere sia la piattaforma che la modalità che sente più adatta a sé e al pubblico a cui vuole parlare. Si, libertà. Anche se, in accordo con il paradosso della scelta, ci si fa guidare da quello che fanno tutti, da quello che pensiamo funzionerà o da come ci si muove nelle rispettive bolle, le combinazioni potenziali sono innumerevoli. Innumerevoli modi per liberare la nostra voce.
“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità.”
Come diceva lo zio di Peter Parker (l’uomo ragno)
Da una parte è vero che abbiamo innumerevoli modi per dare voce ai nostri pensieri, alle nostre idee e ai nostri progetti; dall’altra però consideriamo che un atto comunicativo presuppone un ricevente, qualcuno che sia dall’altra parte ad ascoltare. L’atto comunicativo è sempre una co-costruzione di significati tra chi emette il messaggio e chi lo riceve.
Se lo inquadriamo in questo modo l’atto comunicativo assume tutt’altro peso: grandi responsabilità appunto. In un contesto di relazione interpersonale in presenza è facile dare per scontati alcuni aspetti, primo fra tutti il rispetto. Rispetto per l’interlocutore, per il tempo che ci dedica, per le sue idee, per il suo sistema valoriale e per il nostro. Rispetto per quello che si sta costruendo insieme. Il feedback immediato dell’interlocutore (verbale, para-verbale e non-verbale) permette di definire subito la relazione comunicativa; o quantomeno di poterla ri-orientare in tempo breve. Quando siamo davanti a un video e un microfono invece tutto si complica.
Prendo in prestito le parole di un’altra grande pensatrice del ‘900: Marla Singer (direttamente dal film Fight Club)
“Se la gente pensa che stai morendo, ti presta tutta la sua attenzione. Se questa può essere l'ultima volta che ti vedono, ti vedono davvero. […] Hai la loro piena attenzione. La gente ti ascolta invece di aspettare il suo turno per parlare.”
Ecco nella comunicazione online il rischio è che succeda un po’ questo: che si aspetti solo il proprio turno per parlare. E una volta fatto non si stia ad ascoltare.
Fino a qualche anno fa, quando lavoravo con le aziende per aiutarle a costruire la loro comunicazione sul web, una delle richieste che puntualmente arrivava durante il processo di progettazione del sito era: facciamo il blog.
Quello che di solito domandavo suonava tipo: bella idea! Cosa avete da dire che possa essere utile a qualcuno?
Risposta: “Gli diciamo a quali fiere andiamo e quali nuovi prodotti lanciamo sul mercato” ...
“OOOk... facciamo che la studiamo un attimo eh?”
In quel momento ci si metteva la penna, oggi la faccia e la voce ma la dinamica non cambia. Cosa hai da dire e a chi? Stai solo aspettando il tuo turno per parlare?
Purtroppo la libertà di chi è dall’altra parte del monitor (o delle cuffie) è solo una: smettere di ascoltare e cambiare interlocutore. In realtà due. Può anche prendersi del tempo per inviare un commento utilizzando i canali tradizionali (attività che però spesso riflette il bisogno di prendersi il proprio turno per parlare e siamo punto e a capo).
Questo rischia di creare cortocircuiti comunicativi e una pericolosa autoreferenzialità.
Se ne stanno accorgendo anche le piattaforme di ascolto podcast, Spotify ad esempio ha appena lanciato la funzionalità che permette di fare domande e ottenere risposte MENTRE si sta ascoltando un episodio di un podcast.
Un altro modo, che tutti i creator conoscono fin troppo bene, è l’analisi dei dati analitici dei propri canali. Utilissimi da un lato ma potenzialmente dannosi da un altro: se l’analisi dei dati ci può dare un quadro quantitativo e di trend sarà sempre carente di sfumature.
In sostanza potrei sintetizzare tutto con una call to action (chiamata all’azione):
Trova i tuoi modi per mantenere aperto un DIALOGO con i tuoi interlocutori e che questo sia il più bilaterale e iterativo possibile.
Liberare la Voce.
di Valentina Ferraro
Si parla di voce vera, di voce autentica, a latere della ricerca del proprio suono e, forse, del proprio posto nel mondo.
Identifichiamo spesso, nel concetto di voce vera, una forma vocale finalmente vittoriosa e degna di nota, come se il suo manifestarsi sia in netta contrapposizione con l’uso di una voce debole, impostora o meno meritevole di essere ascoltata.
Oggi mi siedo a gambe incrociate nel mio stesso suono, che fatica ad uscire perché costretto da malesseri stagionali e qualche noia emotiva, e ti porgo un punto di vista in tazza grande: la voce vera non è forse la voce libera?
Questo, ovviamente, presuppone l’esistenza di una voce non-libera, concetto scevro del peso percettivo altrui: non una voce non degna, o debole, o fasulla, non una voce che deve vincere su qualcuno o qualcosa, ma una voce non-libera di uscire nella sua verità e unicità.
Siediti con me che ti spiego, vuoi?
Cantare o parlare: gabbie diverse per la voce non-libera
La prima volta che ho conosciuto la voce non-libera è stato alla tenera età di 30 anni, quando mi sono trovata nella mansarda di una musico-terapeuta ad affrontare un D5 che non riuscivo a cantare; e lì, tra una posizione della foglia e una divagazione marzulliana sui miei ricordi sonori, il concetto di voce non-libera è affiorato chiaro e limpido, come un singolo loto in uno stagno.
La voce è veicolo dell’espressione, figlia del processo sensazione-percezione che genera la nostra realtà interiore, costrutto alchemico di quello che il cuore e la mente non possono separare; nel suo percorso dai piedi alla bocca, carezza e mette in vibrazione con sé ogni microelemento di cui è composta la nostra sensibilità.
La nostra voce porta fuori ciò di cui siamo fatti, ciò che è vivo in noi, i nostri bisogni più profondi e la nostra consapevolezza a riguardo.
Una voce che canta o che parla di distingue per elementi formanti e di risonanza, ma è accomunata dalla corporeità integrale e sottile dell’individuo che attraversa; così la voce diventa strumento di comunicazione non solo della mente bensì del corpo e dell’anima di cui siamo pregni.
Una voce non-libera è una voce che si arrampica in tensioni psicofisiche, che deve divincolarsi tra auto-giudizi e aspettative che la portano distante da dove vorrebbe suonare.
La voce non-libera è quella voce che cerchiamo di ottenere quando ci sforziamo di cantare o parlare adeguandoci a modelli non autentici, nel tentativo di soddisfare aspettative nostre o altrui, probabilmente mossi da un bisogno di essere ascoltati e amati in un qualche modo, anche a costo di non usare il nostro suono libero, ossia ciò che ci metterebbe a nostro agio intonare o dire.
La voce non-libera è reazione non funzionale allo stimolo del cantare-dire-performare;
può risultare anche gradevole da sentire, ma dentro causa risonanze vuote, udibili solo attraverso un profondo ascolto interiore: la voce è uno strumento di crescita personale.
Trovare sé stessi nel proprio suono.
Sia sul piano verbale che sul piano comunicativo-sonoro, la voce è strumento musicale intrinseco di ciascuno di noi, e si conferma elemento identitario dell’essere umano; non c’è voce identica a un’altra, tanto quanto non c’è bisogno che ci sia.
Ciascuno di noi ha caratteristiche peculiari nel proprio suono-strumento, legittime e perfette nella loro forma originaria, perché indissolubilmente legate al nostro essere più profondo.
Trovare la propria voce è un processo introspettivo e individuale, a volte trasformativo e sicuramente impegnativo.
Per poter accedere a quella matrice sonora in cui è rinchiusa la formante epigenetica del nostro suonare nel mondo, serve prepararsi ad un viaggio interiore lento e morbido; serve scegliere di affidarsi, prima di tutto a sé stessi, di amarsi e accettarsi come siamo, abbandonando attaccamenti e giudizi che ci spostano dal nostro centro verso orizzonti non-nostri.
Possiamo accettare di trovare un nostro modo di cantare canzoni nostre e/o altrui?
Sappiamo dare valore a ciò che possiamo trasportare lungo il tragitto dal sentire al verbalizzare?
Abbiamo il coraggio di dare voce davvero a ciò che siamo?
Siamo capaci di vincere la paura di esporre le nostre fragilità e trovare la forza di lasciare andare la paura di “non essere abbastanza/degni/legittimati nel nostro far voce?
Lungo la strada che rende liberi
Com’è, come non è, parlare di voce diviene sempre parlare di anima.
Trovare la nostra voce-libera è un percorso personale, spesso iniziato in ambito artistico o performativo, e trasportato in maniera indiretta in molti altri aspetti della nostra vita.
Come si trova la strada che libera la voce?
Ecco un segreto: non c’è una strada, c’è solo la tua strada.
Si può partire dal corpo, da una sala prove, da una lettura in pubblico, dal canto di un mantra o da una giornata storta in cui ti ritrovi a dire allo specchio cose che avresti voluto dire ad una persona; il perché è sempre personale, il come altrettanto.
Ciò che sicuramente posso dirti è che non c’è un'unica via, un unico modo per trovare una voce-libera; ci sono tappe, alcune in relazione con persone che ci aiutano e ci guidano da fuori, altre in solitaria, con noi stessi e la voce come unica guida.
Posso dirti che a volte è un gioco e altre volte è un’impresa, ma sempre, inevitabilmente, è un processo evolutivo.
Liberare la voce è liberare il proprio potere personale, la propria vibrazione nel mondo, per lasciarla risuonare e consuonare nella melodia di ciò che ogni giorno, anche quando pensiamo di non farlo, costruiamo in noi e nel mondo che abitiamo.
Voice Wide Web
di Valentina Ferraro
Amo percorrere i sentieri dei narratori indipendenti, quelli che battono strade meno canoniche, a volte più “social” e contribuiscono a creare quella che mi piace immaginare come un’audio-biblioteca gratuita e aperta 24 ore su 24.
In questa rubrica vi porto con me alla scoperta di alcune voci che meritano un posto nelle vostre cuffie!
Oggi vi porto con me nel canale di Lorenzo, sul web “Pilgrim Cantastorie”.
Lorenzo si è formato come doppiatore, ha una voce calda, ricercata e avvolgente, come un intingolo di selvaggina mangiato d’inverno in alta montagna; spesso legge in diretta e di frequente porta racconti brevi di autori esordienti.
Oggi vi faccio ascoltare la sua lettura di “Le Leggende di Phaedra” di Fabio Guerrini
Lorenzo è anche un caro amico, una persona di cuore e traboccante di passione e vitalità;
se lo incrociate è sempre pronto per un abbraccio e un sorriso e, vi assicuro, ha la straordinaria capacità di rendere qualsiasi testo un piacere per l’orecchio.
Provare per credere!
Come per ogni altro suggerimento della Voice Wide Web, ricordo che i narratori scelti operano su canali gratuiti e non tutti hanno agio di poter fare editing professionali sugli audio caricati, dunque le mie impressioni sonore sono sempre e solo relative al “gusto” e al “tatto” della voce come strumento dell’essere umano e di relazione fra storie e ascoltatori.
Buon ascolto 🙂
Mettiamoci la Voce
Ensemble formativo al servizio della voce narrante.
Mettiamoci la Voce è academy di lettura espressiva, registrazione di audiolibri e produzione di podcast; dal 2017 ci prendiamo cura dello strumento voce e del suo utilizzo nella narrazione ad alta voce, nella comunicazione e nell’arte.
Maria Grazia Tirasso: Regista, autrice, docente teatrale e di lettura espressiva. È la responsabile della didattica
Francesco Nardi: Musicista, attore, autore, filosofo dell’educazione. Si occupa di musicalità della voce parlata
Sandro Ghini: Consulente strategico di comunicazione digitale, professore di podcasting e narrazioni audio presso UniGe
Valentina Ferraro: Tecnico della voce narrante, narratrice indipendente e insegnante di propedeutica vocale e lettura all'impronta