Una scusa come un'altra
Per prenderci un caffè insieme davanti ad una mail e chiacchierare di voce in diversi modi e con persone appassionate come noi (parlo anche di te)
Un chicco alla volta
Siamo sempre di più in questo spazio dedicato a pensieri e riflessioni sulla voce e i suoi utilizzi e ne siamo felici.
Qui ci concediamo il tempo dell’espressione genuina, senza SEO, senza la ricerca di testi brevi ed efficaci: noi, senza filtri. E vedere che questo spazio si popola ci scalda il cuore perché, diciamocelo, noi non siamo commerciali.
Non lo siamo mai stati né lo saremo.
Non facciamo reel, non badiamo ai numeri e all’orologio, infrangiamo ogni regola del podcasting con puntate lunghe e pause di pubblicazione e, soprattutto, non ci piacciono FOMO e strategie assortite. O meglio, la nostra strategia è amare incondizionatamente quello che facciamo, fidandoci l’uno dell’altra e di chi entra in academy, costruendo tutti insieme la scuola dei nostri sogni grazie ai vostri feedback, alle richieste e ai suggerimenti di chi si aggiunge e aggiunge un pezzetto di sé a quelli-che-saremo-da-grandi.
Per adesso pare che piaccia e che sia apprezzato, dunque GRAZIE, di tutto cuore per essere qui con noi.
Giudizi e Pregiudizi
di Maria Grazia Tirasso
Capita che contatti una collega teatrante attraverso uno scambio di messaggi per un’informazione e lei mi risponda in modo seccato e pure un po’ scortese. Capita pure di accorgermi che, leggendo, sento la voce di lei come se quelle cose le stesse dicendo… e immediatamente penso: “Cosa ti aspettavi? Con quella voce da gatta morta”… Eppure sto solo leggendo! E poi, suvvia, da me non me lo aspettavo! Non è da me una sentenza così frettolosa e banale.
E allora mi domando quanto siamo condizionati da timbro e dalla prosodia del parlare altrui, al punto di sentire la voce di qualcuno anche attraverso lo scritto.... E questa volta parlo non dal punto di vista di chi usa la voce, ma da quello di chi ascolta (che poi dovrebbe essere sempre anche il punto di partenza di chi parla).
Siamo sempre a predicare che non esistono voci belle o brutte, ma il pregiudizio è dietro l’angolo anche in chi la voce la usa per mestiere. E se è vero che la voce ci descrive più di quanto pensiamo e spesso ci smaschera, è anche vero che, nell’ascolto, siamo portati ad operare semplificazioni, ad emettere giudizi che spesso non sono obiettivi perché affondano le radici nel nostro vissuto, nel carattere, attivano meccanismi ragionativi che formano associazioni mentali o si fermano alla superficie.
Tutto ciò mi porta a pensare che…
quando parlo, nella quotidianità - magari anche con persone che mi sono vicine, mi conoscono, mi vogliono bene - dovrei essere più consapevole del potere della voce che si esplicita nell’intenzione di chi parla ma ha forte ricaduta anche nella ricezione, quindi nell’ascoltatore.
quando ascolto, dovrei cercare di non fermarmi alla prima impressione e di non lasciare che giudizi superficiali mi affiorino così alla mente, perché giudicare limita che lo fa, ed è un attimo passare dal giudizio al pre-giudizio che è una vera e propria trappola...
Parlando si scalda
di Francesco Nardi
Parlando si scalda, 4 lettere.
La domanda di un cruciverba? Potrebbe… Ma il titolo di questo breve intervento è in realtà tratto da una storia vera.
Mi chiama al telefono Maria Grazia per sincerarsi sulle mie condizioni di salute, visto che il giorno prima non avevo fatto altro che starnutire (il classico vento che stava preannunciando la tempesta).
…Brondo? Non avrei ingannato nessuno, figurarsi una che si occupa professionalmente di voce e per di più da anni conosce benissimo la mia: Franci, ma da quale caverna mi stai parlando? Ero raffreddatissimo, le mie vie aree erano più intasate della tangenziale nelle ore di punta dei giorni sotto Natale. L’aria in uscita dai polmoni doveva necessariamente trovare degli sbocchi, ma non era facile individuarli… Dove passare? In meno di un giorno, una quantità impressionante di fisiologico muco si era trasformato in patologico catarro, il quale si era addensato lungo le strade fino ai caselli entrata e uscita del mio fiato, impedendone di fatto il traffico e conseguentemente la produzione fonatoria. I pochi suoni che uscivano erano inequivocabili: Non ti ho mai sentito così raffreddato! / Non bi dire niende… Sono duddo dappado…
Potevo ascoltare, però! Certo, l’udito non era al massimo della forma… L’ingorgo formatosi stava impedendo anche la corretta ricezione sonora come nelle condizioni abituali, ma niente di che: in fondo, non si trattava di prestare attenzione ad un brano di una determinata orchestra al fine di redigere una accurata relazione sulle caratteristiche timbriche dei vari strumenti, commissionate da qualche Conservatorio di fama internazionale (… sì, adoro la fantascienza applicata a me stesso!).
Eh, però quando il dialogo ti prende, non puoi startene passivamente come davanti alla televisione a ricever colori e suoni… Ti viene naturale partecipare attivamente!
Non stare a parlare tu, ché sei così preso, e comunque ci possiamo sentire anche poi… / No, no, è inderessande quello che hai deddo brima! A bio avviso, quesda cosa che digi è brobrio giusda… Dando ghe bi viene da dire…
Eh, se me ne veniva da dire! Il problema era il come, non il cosa…
Vabbè, la faccio breve: la telefonata è proseguita per più di un’ora (una durata classica delle nostre telefonate quando siamo liberi di parlare), al termine della quale avevo, sì, sempre la voce “presa”, ma non certo come all’inizio!
Tanto che Maria Grazia sentenzia: Vedi? Quante volte diciamo che fa bene parlare per riscaldare l’apparato fonatorio… Senti il tuo, non suona certo come al principio della telefonata! Sto per darle, per l’ennesima volta, pienamente ragione, quando mi anticipa: potresti scrivere un articolo! E da buona enigmista mi suggerisce pure un titolo che pare uscire dalla domanda di un cruciverba: Parlando si scalda.
4 lettere… VOCE, risolto!
Gli spazi sonori che…mancano
di Valentina Ferraro | La Musifavolista
Qualche settimana fa, qui a Genova, c’è stato il Megacon, un mega evento dedicato a fumetti, anime e nostalgici come me che sono rimasti con un piede pucciato nei primi anni ‘90.
Tu immagina questo: un padiglione fieristico immenso, due piani di stand, una palco conferenze, un palco cosplay e un palco concerti, tutti bene o male vicini a livello acustico e - il male del male- le postazioni meet&greet ACCANTO al palco concerti.
Ecco, in questo panorama colloca me con la mia problematica sulla percezione dei suoni. Volevo morire, e un po’ sono morta dentro, perché ero in coda per dare un abbraccio a Chef Hiro e guardare da lontano Angelo Maggi (che secondo me voleva il guanto di Tanos per far sparire il palco e il relativo caos alla sua destra) con accanto una mandria di miei coetanei che saltavano e cantavano “What is my destiny Dragon Ball” con Giorgio Vanni sul palco.
Così, se da un lato mi chiedo se forse non comincio ad essere troppo vecchia io per questo tipo di eventi, dall’altro mi chiedo se e quanto consideriamo l’acustica quando organizziamo o partecipiamo ad eventi.
Altro esempio: poche settimane fa, partita di volley under 16; palazzetto con capienza di circa 200 posti, spalti pressoché vuoti, siamo sì e no 20 persone sedute a vedere la partita. Perla del giorno: madre, padre e due bambine si mettono a tifare con tamburi, tromba da stadio e sirena da tifo.
Ripeto per chi non abbia colto: palazzetto vuoto -che si sentivano persino i pensieri dell’arbitro- e questo tifo esagerato in luogo acusticamente inadeguato con rimbombo mortale e un livello di rumore, secondo me, sui 120 dB [vicino alla soglia del dolore n.d.a.] grazie alla maledetta tromba da stadio.
Parliamo di due eventi divertenti, che naturalmente incitano al chiasso e alle risate, ma com’è possibile che nessuno abbia cura dell’aspetto sonoro di questi spazi di convivenza?
Com’è possibile che si lascino usare trombe da stadio in ambienti così piccoli o che si posizionino le postazioni dei meet accanto ad un palco in festa con annessi spettatori?
Qui non si parla della maleducazione del singolo, come chi in treno guarda video sugli smartphone a tutto volume, bensì della trascuratezza sistemica di un aspetto sociale non trascurabile: la sovrastimolazione uditiva e il rispetto per la sensibilità sonora.
Non serve avere la misofonia* per capire e sapere che l’eccessivo rumore infastidisce, stanca e innervosisce le persone, crea un’esperienza emotiva negativa e, in potenza, vanifica l’architettura UX di eventi e occasioni.
Voglio dire, è come se ad un matrimonio mettessero il tavolo degli sposi, stupendamente addobbato, accanto alla porta del bagno. Stupendo, no?
Non so se esista una verità, ma l’idea che mi sono fatta è che, in media, si tende ad ascoltare il mondo come si ascolta sé stessi: poco. E man mano che si prende consapevolezza di ciò, si fa sempre più caso a di quanto rumore riempiamo le nostre vite perché abbiamo paura del silenzio, o forse di quello che abbiamo dentro e a cui non diamo voce.
O forse, in una società che si è abituata all’immagine e ai media che urlano, abbiamo semplicemente un po’ trascurato il suono, un po’ scordato la bellezza del silenzio e un po’ dei volumi confortevoli?
Non saprei, tu cosa ne pensi? Fai caso al rumore che fai o che si fa? Badi al tuo spazio sonoro e a quello degli altri?
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Demofobia digitale
di Sandro Ghini
Ormai si può dire con verità, massime in Italia, che sono più di numero gli scrittori che i lettori (giacché gran parte degli scrittori non legge, o legge men che non iscrive). Quindi ancora si vegga che gloria si possa oggi sperare in letteratura. In Italia si può dir che chi legge, non legge che per iscrivere: quindi non pensa che a se ec.
(Pisa, 5 Febbraio 1828).
Sorpreso di leggere autore e soprattutto anno? Io si… mi sono sorpreso di ritrovare queste parole nello Zibaldone di Leopardi (oltre che in Cesare Garboli di cui metto qui sotto l’intervista. Al tempo di Leopardi invece YouTube non c’era). Questo mi ha fatto riflettere, e parzialmente cambiare punto di vista su quello che stavo per scrivere. Mi ha ricordato Socrate che si lamenta della maleducazione dei giovani…
E grazie a questi due esempi ho deciso di eliminare la variabile “epoca d’oro” dal ragionamento concentrandomi più sulla percezione che abbiamo delle cose.
Una frase che chiedo spesso ai miei studenti di podcasting all’università è “stai creando qualcosa che cambierà la vita delle persone o stai creando qualcosa per te stesso?”. Ben inteso non c’è nulla di male a produrre materiale per lavorare su di sé e sul proprio benessere (a proposito di questo ti consiglio il libro “la via dell’artista” di Julia Cameron) ma quel materiale muore nel momento in cui raggiunge la carta. È il processo, non il risultato a essere il punto focale. È totalmente autoreferenziale ed è perfetto così. Il cortocircuito nasce quando non ci rendiamo conto che l’unica persona a cui stiamo parlando ideando un certo contenuto siamo noi…
La mia sensazione è che l’abbattimento delle barriere all’ingresso nella produzione di contenuti portato dal digitale abbia aumentato enormemente la quantità di rumore a cui siamo esposti e abbia quindi acuito, e non di poco, la percezione di disagio e la FOMO (Paura di perdersi qualcosa).
Lavoro nella comunicazione digitale da 20 anni e ho visto nascere crescere e morire diverse mode e tantissimi spazi virtuali diversi ma sia come professionista che come persona spesso mi sento come se fossi in una grande stanza dove tanti aspiranti attori stanno provando ad alta voce la loro parte prima del provino e non nascondo che ne ho paura. Ne ho paura, come ne aveva paura Leopardi, perché mi mette davanti al fatto che non siamo capaci ad ascoltare e a relazionarci né con gli altri né con noi stessi. Soluzione? No non c’è una soluzione (se da secoli ci troviamo a dirlo evidentemente è connaturato a noi) ma sicuramente c’è una maniera più consapevole di stare nella relazione con gli altri.
Il fatto che una cosa si POSSA fare non significa che si DEBBA fare…
La prossima volta che mettiamo le dita sulla tastiera, accendiamo una videocamera o un microfono chiediamoci per chi lo stiamo facendo. Stiamo provando a cambiare in meglio la vita delle persone?
Ma tu li ascolti gli audiolibri?
Se si vuole diventare bravi narratory di audiolibri, bisogna ascoltane: tanti, spesso, anche senza finirli ma sicuramente rubando da ogni voce, anche quelle che non ci piacciono.
Se troviamo offerte di abbonamento ogni volta che le troviamo :)
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Mille modi per fare voce
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Baci & abbracci
Ci risentiamo tra qualche settimana con aggiornamenti sul progetto super top-secret e nuove chiacchiere davanti ad un caffè.
Buona voce a tutte/i! 💋
Valentina, Maria Grazia, Francesco e Sandro
Già! Purtroppo… ti porto un esempio riguardo la mia vita giornaliera a scuola. Si sa che i bambini piccoli abbiano difficoltà nel controllo della voce, ma perché questo continua anche quando crescono? Ti garantisco che se l’ARPA venisse a scuola a misurare i db che gli alunni (e non solo gli alunni) producono saremmo multati per inquinamento acustico. I bambini non sanno parlare normalmente. Urlano. Molti di loro non sanno utilizzare la loro voce ad un livello normale, ma non lo fanno apposta. Semplicemente non sono in grado di abbassare il proprio volume. Hanno la voce forte, acuta e spesso stridula. E le maestre? anche! Mai stare accanto ad una maestra che sta per richiamare i propri alunni! 😂 Si inizia con una vocina acuta alla quale se ne sovrappongono altre e poi altre e altre ancora: ecco che si forma il cosiddetto “casino”. In pochi secondi. E alle medie? Peggio perché le voci iniziano a diventare più gravi ed intense e di conseguenza più potenti. Il mio richiamo più frequente è: “ti spiace abbassare il volume per favore? Non è il caso di urlare, basta parlare “. Ma in pochi sanno la differenza o, perlomeno, riescono a girare la manopola della loro voce sulla sinistra. E poi le prof. che chiedono il silenzio urlando… è una specie di ossimoro 😂😂 povere corde vocali! Come le maltrattiamo!!!! Dovremmo introdurre una materia: Educazione al silenzio.
Ti ringrazio. Sì, ti ringrazio perché da quando leggo le tue mail e i tuoi contenuti in genere, ho trovato un angolino di mondo dove mi sento capita e accolta. Per me i suoni, i rumori... sono un aspetto importantissimo della vita, e da tempo immemore non riesco a capacitarmi di come la società di oggi sia sempre più "casinista". Quando ero piccola (un saaaaaccco di tempo fa), si educava anche al rispetto dello "spazio sonoro" altrui. Non si urlava in certi luoghi, in certi orari, in certe situazioni. Ora sembra che tutti siano diventati sordi, e se provi a far notare che certe cose possono essere fatte senza che agli altri debbano per forza sanguinare le orecchie, sei una gran rompiscatole e vieni pure insultata, come se il problema fossi tu. Che ansia.