La lingua delle emozioni
In questo primo numero ci aspetta un viaggio nel mondo delle emozioni e di come impattano sulla nostra voce, sulla nostra comunicazione e di conseguenza sulle nostre relazioni.
Le nostre emozioni parlano la stessa lingua, anche se proveniamo da culture e paesi diversi
di Valentina Esposito
La nostra capacità di riconoscere le emozioni è universale e dipende solo in piccola parte dalla lingua in cui viene espressa
Secondo uno studio sperimentale condotto su bambini e giovani adulti e pubblicato sulla rivista "Scientific Reports” da Georgia Chronaki, dell’Università del Central Lancashire nel Regno Unito, riconoscere le emozioni di una persona è una capacità universale, che dipende solo in minima parte dalla lingua madre in cui si parla. La comprensione delle nostre emozioni nel corso del tempo quindi si lega soprattutto al suono della voce e migliora solo in minima parte ascoltando la lingua in cui si parla correntemente: la ricerca infatti ha preso in esame soggetti di età diversa per comprendere la natura della comunicazione emotiva.
Lo studio ha coinvolto 57 bambini e 22 giovani adulti che non conoscevano le lingue straniere in un test di riconoscimento emotivo di pseudo-frasi, cioè senza significato compiuto così che ciascuno si concentrasse unicamente su elementi extra-semantici del parlato, pronunciate da attori in diverse lingue. Le frasi esprimevano rabbia, felicità, tristezza o paura oppure avevano una colorazione emotiva neutra e i dati raccolti hanno dimostrato come tutti, pur non conoscendo la lingua, erano in grado di riconoscere le emozioni, soprattutto la rabbia e la tristezza.
Sicuramente la conoscenza, in alcuni casi, della lingua ha aiutato maggiormente nella comprensione, ma in ogni caso il risultato ha mostrato come la comprensione delle emozioni è una capacità innata già nei bambini e come sia strettamente legata a fattori quali altezza, frequenza, intensità e ritmo del suono
L’ apprendimento culturale, la maturazione e l’ esperienza dell’individuo completano il processo di comprensione delle emozioni
Gli studi legati all’espressione vocale delle emozioni mirano a comprendere in quale misura la comunicazione emotiva sia universale e innata, quindi plasmata dalla matrice biologico-comportamentale formatasi ed evolutasi nel corso di milioni di anni e in quale misura invece sia determinata dall’apprendimento culturale, dall’esperienza o maturazione dell’individuo. Fattori questi ultimi che lo studio, pur riconoscendo un’innata capacità di comprendere le emozioni, ha sottolineato essere preponderanti nel migliorare la comprensione delle emozioni dell’altro nel corso del tempo.
La conoscenza delle regole linguistiche della lingua di appartenenza, ad esempio, aiuta nel riconoscimento del tono emotivo, così come il passaggio dall’adolescenza all’età adulta migliora la comprensione delle sfumature delle emozioni. Il periodo riconosciuto come fondamentale per l’acquisizione di fattori socio-culturali e di competenze che migliorano la comprensione delle emozioni è quello dell’adolescenza.
Perché la lingua madre non basta a comprendere il linguaggio delle emozioni?
Il linguaggio è uno strumento e un meccanismo potente che ci permette di esprimere qualsiasi concetto vago, sensazione, bisogno e necessità dandogli in un certo senso una forma definita ma non definitiva chiaramente. Proviamo attraverso il linguaggio ad esporre significati personali legati al nostro rapporto con il mondo e alla relazione con gli altri: in questo modo ci sembra anche di avere maggior padronanza di quel che proviamo, ce lo figuriamo nei suoi limiti e potenziali sviluppi.
Tuttavia il linguaggio, composto da nomi convenzionali associati a contenuti definiti resta pur sempre limitato ma perché costruisce solo una catena di elementi in una serie di significati che si snoda nel tempo. Il linguaggio quindi può trattare un unico dato alla volta e può costruire soltanto catene di elementi.
Quando interagiamo con gli altri esprimendo e decodificando emozioni invece sappiamo che la quantità di informazioni trasmessa non viaggia su una sola linea ma su molteplici piani, esattamente come accade quando ascoltiamo la musica, percepiamo odori o guardiamo un’opera d’arte. Sono queste le circostanze in cui il sistema di codifica non è seriale ma avviene in maniera parallela e simultanea: quando interagiamo con gli altri è in atto una danza di movimenti che coinvolge postura, muscoli del viso, ritmo e tono di voce, tutto il nostro corpo è compartecipe di quanto stiamo esprimendo. Linguaggio verbale e non verbale si fondono, si immettono l’uno nell’altro per accogliere stati emozionali di diversa natura e intensità.
In questa prospettiva forse la poesia e la narrativa sono le forme più votate ad esprimere gli affetti, perché alla codifica lineare del significato sussiste nello stesso momento anche quella sensoriale, come la bellezza di un’immagine suscitata, la prosodia, il ritmo del linguaggio e l’assonanza delle parole. Tutti i sensi sono coinvolti e compartecipi dell’emozione comunicata.
Il modello della mente quindi appare tuttavia imperfetto: da un lato ci sono le emozioni che rappresentano codificazioni simultanee di molteplici input in una sola intuizione, dall’altra c’è il linguaggio verbale che compie il costante sforzo di afferrare questa complessità decodificandola in una un ordine simbolico lineare.
Fonti:
https://www.nature.com/articles/s41598-018-26889-1
Per approfondire il tema ti consiglio
▶️ Dal nostro blog un articolo dove parliamo dell’impatto della voce nelle nostre relazioni
https://www.mettiamocilavoce.it/voce-come-riconoscerla-e-curarla/
▶️ Nel nostro podcast ci siamo occupati delle emozioni primarie e il loro rapporto con la voce, qui ti segnalo il primo della serie sull’emozione della rabbia
Voice Wide Web
di Valentina Ferraro La Musifavolista
Amo percorrere i sentieri dei narratori indipendenti, quelli che battono strade meno canoniche, a volte più “social” e contribuiscono a creare quella che mi piace immaginare come un’audio-biblioteca gratuita e aperta 24 ore su 24.
In questa rubrica vi porto con me alla scoperta di alcune voci che meritano un posto nelle vostre cuffie!
Per rimanere in tema con il periodo di Halloween che termina con oggi, ho scelto di inaugurare questa rubrica di consigli d’ascolto con un titolo pertinente: “Il Fantasma di Canterville” di Oscar Wilde, letto da Francesco D’Emanuele, che ha un canale su YouTube chiamato “La Via della Voce”.
Francesco ha una voce morbida e vellutata, con sfumature di nocciole tostate una punta cardamomo.
Non pubblica tanto quanto vorrei ma i suoi contenuti sono ben selezionati e, da lui, ci si lascia accompagnare con estrema facilità in qualsiasi atmosfera narrativa…provare per credere ;)
Francesco si è formato in doppiaggio, teatro e lettura espressiva; si occupa in prima persona di registrazione, editing e montaggio ed è uno straordinario lettore all’impronta.
Te lo dico all’orecchio
di Sandro Ghini
Questa rubrica serve prima di tutto a me, per scoprire, testare e uscire dalla mia zona di comfort. A inizio ottobre, alla prima lezione del mio corso di Podcasting all’università ho chiesto ai ragazzi quali podcast ascoltassero. La risposta mi ha sorpreso: la quasi totalità aveva ascoltato o ascolta regolarmente Muschio selvaggio di Fedez e Luis Sal ma è stato il secondo titolo ad interessarmi di più. Qualche episodio di Muschio selvaggio lo avevo ascoltato (o meglio visto su YouTube) e no, non lo commenterò qui, ma il secondo più gettonato ammetto che non lo avevo ancora ascoltato. Sarà perché i podcast dei talent spesso sono ben curati tecnicamente ma non mi entusiasmano per i contenuti, sarà anche perché sono un po’ snob e di un’altra generazione ma Sei Stanga? avevo cercato di evitarlo fino ad allora.
Si lo so, lavorando nel mondo podcast e avendo anche la responsabilità della formazione podcastica di 60 ragazzi dovrei ascoltare tutto quello che esce - e di cui si parla - e dispensare consigli saggi come farebbe Gandalf a Frodo nel Signore degli Anelli. Fatto sta che avevo dribblato l’ascolto per mesi ignorando i consigli di Spotify (e anche qualche consiglio di colleghi).
Paura, la paura di non essere un buon professore è stata la leva che mi ha fatto aprire la app di Spotify, scegliere l’ultimo episodio pubblicato e fare play. Per confermare il detto “la fortuna aiuta gli audaci”, il tema scelto da Mattia Stanga per l’ultimo episodio parlava proprio della sua paura, vinta, di fare un podcast…
Studenti 1 Professore 0
Produzione di alto livello, in collaborazione tra Spotify e Chora Media, oltre a suonare bene, funziona.
Perché lo consiglio oggi? Perché parla di paure, anzi di “pare”, di insicurezze e paranoie.
Non ti racconto altro, ti sfido a prendere un po’ di coraggio e andare ad ascoltarlo, anche se hai dei pregiudizi. Soprattutto se hai dei pregiudizi.
Sei Stanga?
Una produzione Spotify originals e Chora media
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