Improvvisare non è improvvisarsi
Qui a Mettiamoci la Voce, il jazz si fa voce alta: in quattro, senza spartito, divagando dalla musica al teatro, dalla lettura al problem solving...improvvisando.
In questo numero:
E all’improvviso…
Improvvisazione e Teatro
/im·prov·vi·ṣa·zió·ne/
Improvvisazione e problem solving
Per approfondire
E all’improvviso…
di Francesco Nardi (2023)
Come spesso avviene con le parole, anche il significato di improvvisare si presta a possibili equivoci… Una qualsiasi cosa improvvisata (ad esempio un pranzo, oppure una festa) è un evento non preparato, con l’inevitabile conseguenza di essere considerato di serie B.
Prevenire è meglio di curare, e allora dietro a questo fatto ci si può schernire per difendersi (“sono solo un idraulico improvvisato…” Sottotitolo, non ti aspettare più di tanto…”); oppure si può attaccare per denigrare (“come organizzatore è proprio uno che improvvisa…” Sottotitolo “qui è tutta una confusione”).
In realtà, al contrario, l’atto dell’improvvisare è il vertice quanto della tecnica che delle arti (che non a caso hanno la stessa base etimologica, ma non… improvvisiamo).
Questo perché, se fatta bene, l’improvvisazione prevede una realizzazione non pensata precedentemente, quindi con l’obbligo di avere alle spalle una preparazione che consente di creare qualcosa nell’atto stesso della sua esecuzione.
Va da sé che senza una preparazione a monte più che solida, ciò che si materializza a valle avrà ben poche probabilità di risultare di qualità.
La lettura a voce alta, e più in generale la voce, ci offre l’occasione di guardare (o meglio di ascoltare) questo fenomeno da vicino. Un lettore a voce alta che ha modo di prepararsi per una sua lettura in pubblico, potrà mettere in campo una serie di azioni che gli consentiranno di renderla il più espressiva possibile (ad esempio, l’analisi del testo, così come del contesto per citarne giusto un paio).
Il successo (nel senso di succedere) potrà essere più o meno grande, però è fuori dubbio che si tratti di un’opera (in senso lato) “pensata”. Al suo contrario, una lettura improvvisata, no. Non si ha tempo, se non quello dell’espressione “attimo dopo attimo” (gli inglesi direbbero step-by-step). Prendiamo un’immaginaria lente di ingrandimento ed estrapoliamo uno di questi istanti per poterlo analizzare da vicino. Cosa sta accadendo al nostro lettore, o più in generale al nostro parlante? Prendiamo giusto una parola che sta pronunciando in quel momento. Un istante prima non sapeva che sarebbe stata quella, ora le sta dando suono e già l’attenzione sta per essere rapita dalla prossima. Passato, presente, futuro (una gran bella metafora del nostro Essere, ancora una volta dettata dal Tempo). Ma con-centriamoci ancor più specificatamente nell’adesso di quella parola. La voce sta restituendo (senza averci pensato prima d’ora!) tutta una serie di parametri che vanno dai tratti segmentali a quelli sopra-segmentali, ritmo, melodiosità, volume e tanti altri ancora… Il cervello prende quanto ha a disposizione dalla propria sensibilità ed esperienza (per dirne due…) al fine di restituire un suono che lo si vuole quanto più espressivo, comunicativo, possibile.
Ma è un istante nell’istante questo presente (questa parola tra la precedente, appena pronunciata e la prossima che sta per esserlo. E naturalmente il processo va avanti fino al termine della lettura… step-by-step).
Per inciso, ognuno di noi, conosce quotidianamente questo processo. L’atto del parlare è di per sé un fenomeno che ci porta a produrre parole a bassissimo grado di preparazione (a meno che non ci siamo preparati il cosiddetto “discorsetto”). Riprendiamo la nostra immaginaria lente di ingrandimento che abbiamo usato prima e facciamo caso a noi stessi: mentre parliamo, sappiamo dire con certezza quale parola useremo parlando di seguito fra… diciamo cinque secondi?
Il pianista Stefano Bollani dice che il linguaggio verbale è jazz… Politicamente non vale perché è in palese conflitto di interessi (però diciamolo… Ha ragione!!)
Ma torniamo al nostro ambito espressivo (estetico). La lettura improvvisata viene chiamata in gergo “all’impronta” (e torniamo, come sempre, all’etimo…), ma questa modalità – come abbiamo già visto – vale in tantissimi ambiti umani. Abbiamo citato la tecnica e le arti, ma ne potremmo citare molti altri. Uno fra i tanti? La comunicazione organizzativa… Avete mai sentito parlare di Brainstorming?
Improvvisiamo gente, improvvisiamo…
P.S. – “Fatta la legge trovato l’inganno”. Un modo efficace per sopperire ad una eventuale lettura all’impronta? Ogni tanto, fate scattare una “prova di emergenza” (sì, come quelle che si fanno ad esempio negli edifici pubblici per testare la sicurezza degli impianti e delle procedure, ad esempio in caso di incendio). Quando vi va, prendete un libro a caso (ma va benissimo anche un articolo o qualsiasi cosa che si possa leggere) e leggetelo… all’impronta. Giocate a fare come se aveste davanti un pubblico e dietro nessuna possibilità di prepararvi…
…Siate il più espressivi possibile…
…Improvvisate.
Improvvisazione e Teatro
di Maria Grazia Tirasso
L'Improvvisazione a teatro può essere un genere di spettacolo, ma anche un importante strumento nella formazione dell’attore.
Improvvisando gli attori non hanno un testo con battute definite e spesso neppure una trama vera e propria, ma una traccia su cui sviluppano un’azione scenica in parte riconducendo la storia a questo plot, in parte inventando battute e sviluppo della narrazione teatrale.
Il genere improvvisazione affonda le radici nel lontano passato dell’arte scenica, soprattutto nella Commedia dell’Arte, anche se certamente il teatro popolare latino e medievale lo praticava, intrecciando l’invenzione col repertorio al servizio di personaggi stereotipizzati.
Attualmente certo teatro d’improvvisazione si basa sugli spunti che vengono dal pubblico a volte chiamato a compilare schede e prima dell’ingresso, o con cui gli attori instaurano un rapporto interattivo durante lo spettacolo sollecitando e ricevendone spunti. L’abilità dell’improvvisatore sta nell’inventiva e nella capacità di ricondurre la sollecitazione a schemi definiti cui poter agganciare e sviluppare l’azione, che si declina a volte in vere e proprie sfide per squadre di improvvisatori.
E ancora, la capacità di improvvisare è una risorsa per chi pratica cabaret o intrattenimento perché permette di cogliere l’attimo, anche per risolvere qualche impasse magari legata al calo d’attenzione del pubblico o al classico “vuoto di memoria”.
Nella formazione attorale il training di improvvisazione sviluppa la capacità di ascolto dell’altro, il rapporto coi compagni, la gestione dello spazio, la creatività (elemento importante per una pratica scenica che non sia mero tecnicismo).
Spesso gli allievi attori sono eccessivamente preoccupati dell’originalità, della fantasia di quanto creano sulla scena, ma a mio parere, l’improvvisazione intesa come mezzo e non come fine, ha la caratteristica di sviluppare comunque queste abilità, ma soprattutto serve agli allievi nel loro percorso di crescita perché è una bella palestra in cui affinare capacità che troveranno altra forma e sbocco anche nell’applicazione pratica del recitare un testo dato.
Voice Wide Web
di Valentina Ferraro
/im·prov·vi·ṣa·zió·ne/
Parlare di improvvisazione nel contesto della lettura espressiva non è semplice; nella dimensione della lettura a voce alta c’è sempre quell’equilibrio sottile fra recitazione e non-recitazione che non voglio sfiorare perché non è il mio ruolo qui: dunque parlerò di improvvisare la voce.
Oxford ci suggerisce questa definizione di improvvisazione: “svolgimento o esecuzione che si realizza con facilità e immediatezza inventiva”.
Posto che la facilità è condizionata da più fattori, tra i quali la tecnica, la dimestichezza e l’abitudine all’uso della voce, l’immediatezza inventiva apre diverse strade possibili per questa divagazione “improvvisata” (perché Sandro mi ha chiesto un articolo a poche ore dall’uscita della newsletter, grazie Sandro! n.d.a.)
Leggere all’impronta, parlare per la prima volta a qualcuno, ritrovarsi trascinati in un discorso per gli sposi/per l’azienda/per la festa di paese…tutte forme di improvvisazione.
Cantare in una serata open mic, le prime prove con una nuova band, la creazione di un pezzo, inventare una storia (o una scusa) su due piedi…tutte forme di improvvisazione.
Dichiarare la propria posizione o il proprio amore, raccontare una cosa mai detta prima, verbalizzare cose che fino a quel momento avevi solo nella mente…tutte forma di improvvisazione.
La lallazione dei bambini, le prime interrogazioni, la prima dichiarazione d’amore, i giochi di imitazioni dei versi degli animali, le prime fiabe lette a voce alta a mamma e papà (o a sé stessi)...tutte forme di improvvisazione.
Se parliamo di improvvisare la voce, parliamo di tutte quelle volte in cui la voce si fa veicolo di emozioni e concetti, accompagnandoli sulle vibrazioni del suono fino a fuori, nel mondo reale, dove verranno ascoltati.
Parliamo quindi di una voce che accompagna ogni volta un pensiero o un’emozione diversa e deve articolarsi per tradurla in suono, affinché il paraverbale (ritmo, colore, melodia, volume, ecc…) trasmetta in maniera coerente il messaggio.
Immagina che la persona con cui parli ti racconti di un suo recente lutto del quale non eri al corrente: in maniera automatica, la voce si abbassa, si scalda, si veste di comprensione e di apprensione, portando con sé, nel suo suono, tutta l’emozione che può contenere un “Mi dispiace, non lo sapevo”.
Lo fai d’istinto, lo fai “improvvisando”.
Ogni minuto della nostra vita è improvvisazione, perché nessun attimo è mai davvero uguale ad un altro; così è la voce.
Quando parliamo, la nostra prosodia, i nostri colori vocali, sono istintivi: non pensiamo certo “come posso intonare il buongiorno, salutando il vicino?”, lo facciamo (lo intoniamo) e basta.
Nell’uso performativo della voce assistiamo ad un’intensificazione delle sfumature sonore: l’intenzione si lega alla tecnica, e l’improvvisazione è direzionata verso l’obiettivo della restituzione di significato.
Qui “improvvisare” diventa un’abilità di puro artigianato sonoro, possibile solo grazie allo studio e all'assimilazione di una tecnica solida che quasi dimentichiamo di possedere; impariamo le regole per poi poterle infrangerle, giusto?
Così “improvvisare” un canto, un discorso, una lettura nel contesto dell’esibizione, diventa un gioco di funambolismo vocale, magistralmente ottenuto grazie allo sviluppo dell’ascolto attivo, di fattori propriocettivi e di quella consapevolezza vocale che ci porta a saper “portare” la voce e dirigerla dove e come vogliamo che vada.
La capacità di improvvisare la voce è un talento collettivo, coltivabile ma collettivo, non è un dono esclusivo, non è un’eredità genetica né un merito specifico; tutti noi lo facciamo in maniera istintiva e tutti noi possiamo coltivarne la delicata arte attraverso un po’ di studio e molto esercizio.
Oggi non ti lascio consigli d’ascolto bensì consigli di lettura:
“Il gioco libero della vita: trovare la voce del cuore con l’improvvisazione” di Stephen Nachmanovitch.
Buon ascolto (di sé) e un abbraccio, ovunque tu sia
Te lo dico all’orecchio
di Sandro Ghini
Improvvisazione e problem solving.
Siamo abituati a considerare il termine improvvisazione come qualcosa di legato agli artisti, al talento, all’estro mentre il termine problem-solving ci richiama concetti di business, logica e ragionamento. Ma quindi cosa ci fanno fianco a fianco nella stessa frase? E soprattutto perché questo dovrebbe interessare chi si occupa di voce e lettura espressiva?
Partiamo da una considerazione generale: chiunque si trovi a fronteggiare situazioni che prevedono molte variabili e dove il rischio di fallimento è alto (leggere davanti a un pubblico ad esempio) senza saperlo è un problem solver a tutti gli effetti. A chi non è mai capitato di dover gestire un imprevisto tecnico, trovare soluzioni a condizioni sfavorevoli o ideare stratagemmi per rendere gradevole l’ascolto di un testo particolarmente ostico? Ecco, un problem solver appunto.
Ok ma la relazione tra problem solving e improvvisazione quando arriva?
Ancora un attimo di pazienza e ci siamo. Devo ancora sfatare un mito sul concetto di improvvisazione e caso.
Nelle interviste post partita agli atleti spesso si chiede loro come siano riusciti a immaginarsi quel gesto tecnico inaspettato che ha risolto la partita lasciando il publico incredulo. La risposta di rito è “non lo so, mi è venuto così….ho improvvisato”. Anche senza scomodare Anders Ericsson e la sua teoria delle 10.000 ore di pratica intenzionale per diventare esperti in un campo, sono certo che di ore di allenamento, fatica e tentativi fallimentari dietro ce ne siano tante. Senza una costruzione di schemi motori, memoria procedurale e un bagaglio di situazioni a cui attingere non ha senso parlare di improvvisazione quanto più di casualità. Quindi sfatiamo il primo mito: la capacità di improvvisare si allena.
Ok passiamo al versante problem solving. Come è facile intuire anche dagli esempi precedenti spesso l’improvvisazione scende in campo proprio quando dobbiamo risolvere una situazione (anche se non la identifichiamo come problema).
E qui entra in gioco anche il fattore tempo: quanto meno tempo ho per risolverla quanto più l’impatto dell’improvvisazione sarà alto. Quanto più rapido dovrò essere tanto più farò ricorso ad un’educata incoscienza rispetto ad un processo mentale ragionato. E qui sfatiamo il secondo mito: il problem solving è un’arte in cui emozioni, intuito e consapevolezza hanno un grosso peso.
Bene e questo come può esserci di aiuto nel quotidiano di un lettore a voce alta alle prese con una situazione sfidante?
Racchiuderei tutto in 3 punti fondamentali:
Consapevolezza e presenza: devi conoscere le regole del gioco dentro al quale ti trovi (o quantomeno intuirle con maggiore approssimazione possibile), accettare i tuoi limiti e le tue capacità ed essere assorbito da quello che stai facendo (qualcuno lo chiama stato di flow).
Mettersi in gioco: per citare Julio Velasco i bambini quando giocano sono serissimi, si divertono quando riescono. Per mettersi in gioco intendo proprio mettersi in una condizione di gioco, ovvero dare tutto quello che si ha pronti ad accettare qualsiasi risultato arrivi.
Allenarsi e imparare, sempre: ogni occasione è buona per testare, mettersi alla prova, giocare e… imparare. Improvvisiamo anche in questo frangente: giochiamo con la voce mentre parliamo a una cena con gli amici, studiamo quel commesso che parla in modo strano, leggiamo ad alta voce un testo a caso quando ci capita sotto mano etc etc… Da ogni piccolo o grande allenamento raccogliamo feedback e ricordiamoci di ascoltare e ascoltarci.
Come funziona il cervello umano quando improvvisa
Articolo originale di Vanessa Candela
fonte: http://www.neuroland.net/il-cervello-creativo-tra-jazz-e-neuroscienze/
L'improvvisazione è una forma d'arte in cui si crea qualcosa in tempo reale, senza preparazione o pianificazione. Suonare uno strumento o usare la propria voce improvvisando può farci provare ( e far provare a chi ci ascolta) emozioni molto forti. Ma cosa succede nel nostro cervello quando improvvisiamo?
Lo scopriamo attraverso una ricerca americana condotta con risonanza magnetica funzionale sull'improvvisazione musicale dei pianisti jazz.
Ai musicisti è stato chiesto di improvvisare o di suonare sequenze musicali che conoscevano già per poi poter confrontare i dati. Ciò che i ricercatori hanno scoperto è che l'improvvisazione, rispetto alla riproduzione di qualcosa di già noto, attiva una serie di regioni cerebrali differenti. In particolare, l'improvvisazione è caratterizzata da un peculiare pattern di attivazione cerebrale in cui si osserva una deattivazione della corteccia prefrontale dorsolaterale e delle regioni orbitolaterali, e un'attivazione della corteccia prefrontale mediale.
Queste regioni corticali sono associate a funzioni cognitive di alto livello. La dissociazione dell'attività neurale tra creatività intrinseca e processi non creativi evidenziata in questo studio, mostra che l'improvvisazione spontanea può avvenire anche senza la consapevolezza cosciente e al di là del controllo volitivo.
Durante l'improvvisazione spontanea, l'attenuazione del coinvolgimento dei processi coscienti di auto-monitoraggio lascia spazio a quelli che coinvolgono "l'espressione narrativa del sé" mediata dalla corteccia prefrontale mediale, una regione estremamente affascinante implicata nella proiezione del sé in nuovi scenari.
Questi dati ci danno informazioni importanti sull'espressione creativa del sé e possono essere utili anche per applicazioni in ambito pedagogico-musicale e non solo. Ciò significa che incoraggiare gli studenti a improvvisare, a esplorare nuovi territori creativi e a non limitarsi solo alla riproduzione di ciò che già conoscono, potrebbe avere un impatto positivo sulla loro attività cerebrale e sulla loro capacità di esprimersi artisticamente.
E se ti interessa l’argomento puoi guardare questa conferenza tenuta da uno degli autori di questo studio, il Dott. Charles Limb, nel dialogo con due musicisti jazz: la cantante e contrabbassista Esperanza Spalding e il pianista jazz Vijay Iyer: