Di Voce e Salento
Una newsletter a cuore aperto, da voce a voce, per aprire un rinnovato dialogo su voce e lettura espressiva
Siamo reduci di tre giorni in territorio pugliese, in cui abbiamo fatto una formazione intensiva su voce e lettura espressiva ad un gruppo misto di attori, insegnanti e appassionati.
Si è mosso il team junior composto da Sandro e Valentina ed è stato il primo evento di formazione mista in cui il nostro metodo Ad-Agio si è fuso con il Circle Reading®, dando vita a due giorni intensi, cuore a cuore e voce a voce.
Abbiamo pensato di parlare, in questa newsletter, di ciò che quasi 6 anni di formazioni su voce e lettura espressiva ci stanno insegnando, per condividere con altri appassionati di voce alcune considerazioni a tema, che pensiamo possano essere importanti e utili.
Trasmettere ≠ Insegnare
Valentina Ferraro
La prima grande lezione che abbiamo imparato, dai diversi contesti di appartenenza, è la grande differenza fra la trasmissione dei concetti e l’insegnamento dei contenuti.
Nella lettura espressiva, così come nell’uso della voce, l’apprendimento è esperienziale; ciò implica tempo, dedizione, proattività e un certo grado di responsabilità individuale.
Non è possibile pensare di imparare a leggere a voce alta in un corso di poche ore o pochi giorni, ed è altrettanto improbabile riuscire a farlo solo memorizzando concetti e regole (se di “regole” vogliamo parlare) perché leggere è l’arte del tempo, e proprio il tempo richiede.
Il giusto tempo, aggiungo.
La voce è un gesto corporeo e interno, delicata combinazione di ingranaggi muscolo-cartilaginei non visibili agli occhi e non raggiungibili al tatto; per usarla e capirne i movimenti, serve sviluppare una buona dose di propriocezione che strizzi l’occhio all’enterocezione e, soprattutto, serve il giusto tempo per imparare ad ascoltarsi.
Parlare di voce è, infatti, parlare di ascolto profondo e volontario; è parlare di impegno individuale e di capacità di mettersi in gioco e a servizio di un testo o dell’ascoltatore, tutti fattori che non possono essere imparati da un testo scritto o da un insegnante.
La grande difficoltà della formazione sulla voce e sulla lettura espressiva, è la capacità di stare in equilibrio tra il trasmettere e l'insegnare, poiché entrambe queste competenze sono richieste al formatore che opera nel sensibile territorio vocale-espressivo.
Le nostra visione sulla formazione è influenzata dai rispettivi contesti di appartenenza e dal grande amore per la narrazione, quindi può risultare romantica a chi non condivida lo stesso amore o non abbia mai fatto formazione.
Il contesto vocale offre il valore aggiunto di lavorare a stretto contatto con la consapevolezza dell’individuo, nel sottosuolo del suo essere più profondo e identitario; va da sé che lavorare con la voce e sulla voce, significa lavorare su discrete sfumature di crescita personale, in contesto libero e responsabilizzante: è il discente a scegliere se e cosa imparare di sé attraverso il suo strumento.
La lettura espressiva, invece, apre gli orizzonti alla relazione con l’esterno, nel delicato movimento di riavvolgimento, raccoglimento ed esposizione al mondo di un testo arricchito da qualcosa di sé; qui la responsabilità individuale interagisce con il medium-testo, il supporto-formatore e la rete di sicurezza che questi due elementi esterni rappresentano.
In entrambi i contesti, quindi, l’esperienza di trasmissione e di insegnamento sono indivisibili e le loro connessioni imprescindibili; vi sono dimensioni intermedie tra ciò che fonti esterne possono spiegare e ciò che va appreso con l’esperienza personale, e in quei piani mediani si incontrano resistenze, condizioni emotive, bisogni inespressi e cicatrici di ogni forma e dimensione. È un terreno delicato da attraversare e ci sono limiti da rispettare, confini da non valicare in virtù di quella responsabilità che va lasciata nelle mani di ciascuno di noi.
Mettersi in gioco è un rischio che dobbiamo assumerci da soli.
Scegliere di formare è scegliere di mettersi al servizio di chi impara, tirare una fune tra noi e l’altro, e cercare di farsi raggiungere in punta di piedi più o meno a mezza via; servono braccia aperte, attenzione mirata e ascolto costante.
Serve sapere di non-sapere e mettersi in gioco -appunto- in prima persona, ogni volta come fosse la prima.
Nella voce e nella lettura si accompagna, non ci sono schemi rigidi, dogmatismi o verità assolute.
Buona parte di ciò che compone l’asse voce-lettura è frutto della sensibilità e della capacità di sentire dell’individuo; queste caratteristiche percettive sono malleabili e preziose, vanno nutrite ma non forzate, bisogna annaffiarle e aspettare che crescano, non si può tirarle per farle uscire più velocemente dalla terra.
Questo comporta anche la piena coscienza della necessità di lasciare andare e di fermarsi al di qua del confine personale; le discipline artistiche sono composte di istruzioni per l’uso che spesso non vengono seguite al grido di una libera espressione di sé, a volte rivestita di un sottile velo di paura di non essere in grado davvero di raggiungere i risultati prefissati, dunque diventa quasi impossibile usare la parola “regole” nel pieno del suo significato.
L’artista vocale attraversa strade dentro di sé che spesso portano in direzioni diverse: chi legge a voce alta per chi usa la voce?
Per sé, ad uso taumaturgico e psico-drammatico, per curare ferite dell’anima?
Per l’altro, ad uso conduttore e veicolante, per accompagnare in una storia?
Per uno scopo più grande, ad uso collettivo e connettivo, per creare relazione?
Pensare che le risposte si trovino in un posto altro rispetto all'individuo stesso, significa spostarsi in ambiti diversi dalla formazione.
Il difficile confine dell’insegnamento
Per capire come e dove si collochi il confine dell’insegnamento è bene fare una disamina oggettiva di ciò che realmente si può insegnare in ambito voce e lettura espressiva.
Ci piace pensare che il tessuto pedagogico con cui rivestiamo i nostri contenuti grazie al prezioso contributo di Francesco Nardi, connetta diverse professionalità e abbracci i rispettivi ambiti in una visione equanime dell'insegnamento.
Anatomia del respiro e delle fonazione, corporeità dell’arte, grammatica musicale del parlato, comunicazione -nel senso più specifico del temine- e tematiche audiofoniche sono materie che necessitano di essere accomodate e portate al discente in maniera completa e complessa, perché i reticoli logico-tecnici vengano assimilati e resi propri.
Qui c’è poco spazio di manovra per filosofie che non siano filosofie dell’educazione, e serve riconoscere il valore aggiunto della figura che sappia adattarsi alle diverse dinamiche di apprendimento per raggiungere in maniera sana e soddisfacente lo scopo dell’insegnare.
Di nuovo l’accento va posto sul confine fisiologico che separa chi insegna da chi impara, e che va rispettato come tale; qui la responsabilità individuale viaggia su binari razionali in primis, e l’empatia del sottosuolo viaggia non manifesta in parallelo al viaggio di superficie.
Il valore della trasmissione
Molte delle persone che partecipano a formazioni su voce e lettura espressiva si occupano di insegnamento in diversi gradi scolastici.
Una parte importante del nostro trasmettere si basa sulla passione per ciò che facciamo e sulla fiducia che riponiamo nel fatto che quella trasmissione viva attraverso tutti noi e consenta all’impulso di continuare a scorrere di persona in persona.
Trasmettere costa energia mentale ed emotiva sia al trasmettitore che al ricevente, e unisce i cuori attorno ad uno o più valori comuni; nella trasmissione otteniamo un passaggio di competenze e di testimone, bilanciando così un asse dare-avere che carica e scarica il peso a seconda della direzione in cui viene inclinato.
Nella trasmissione troviamo parte del messaggio della Temperanza, l’arcano numero XIV dei tarocchi che citiamo nella puntata del podcast con ospiti Andrea e Matteo di Sefirot Edizioni .
Bilanciare, “mettere tutto in armonia” è parte del processo di trasmissione tra docente e discente, per cui una disciplina come la lettura a voce alta viene svelata nella sua complessità in ogni suo aspetto e sfumatura; a testimone consegnato, sarà responsabilità di chi riceve il valutare contenuti ed esperienze per farli propri.
In questo senso, l’apprendimento esperienziale richiede il giusto tempo che è diverso in ciascuno di noi, per far rivivere il senso profondo di ciò che si è imparato, girare la terra come si faceva nelle campagne, e far fiorire il proprio approccio, la propria visione e la propria esperienza per tramutarli in sapere.
Forse, allora, “facilitare”
Un termine che trova felice collocazione nel nostro ecosistema digitale e analogico, è quello del facilitatore, che non sostituisce l’insegnare o il trasmettere ma che -appunto in virtù della sua natura- interviene in mediazione tra le due modalità, e diviene un gesto naturale da vestire sulle discipline artistiche, quali sono voce e lettura espressiva.
Conosciamo il facilitatore più facilmente per il ruolo nelle mediazioni, nella didattica in cerchio e negli interventi di mutuo-aiuto, e forse ci inganna la vicinanza con la parola “facile”, ma il facilitare è quanto di più gentile possiamo accostare ai gesti didattici dell’insegnare e del trasmettere affinché il nostro parlare non rimanga vacuo e trovi una direzione concettuale cui vertere.
Compito e responsabilità individuale, il cercare il modo più affine a noi stessi, di esprimere il valore della formazione, erogata o ricevuta, nelle materie che amiamo e delle quali ci circondiamo.
Trasmettere o insegnare?
Francesco Nardi
Quando si tratta di parole, può essere molto utile metodologicamente partire dalla loro etimologia per poi far seguire riflessioni su sviluppi e significati.
Nel nostro caso abbiamo trasmettere e insegnare, partiamo…
“Trasmettere” deriva dal latino transmittere, composto da trans (“al di là”) e mittere (mandare).
Può capitare che alcune parole nel corso del tempo arrivino a cambiare sostanzialmente la loro natura, ma in questo caso il significato originale è stato abbastanza rispettato. Trasmettere = “mandare al di là”. Il caso più rappresentativo è probabilmente relativo alla trasmissione radiotelevisiva. Un contenuto viene trasmesso (“mandato al di là”) tramite un segnale.
Ne consegue che il rapporto tra chi trasmette il segnale che veicola il contenuto e chi riceve quel segnale con quello specifico contenuto, tende ad essere asimmetrico.
Il trasmettitore si presenta come soggetto attivo, mentre il ricevente la trasmissione sarà al contrario passivo. Anche in presenza di una eventuale interazione fra loro, il trasmettitore mantiene la regolazione gerarchica del processo.
Accade anche in didattica. Chi opta per un modello formativo a forte impronta trasmissiva tende a individuare nel maestro la figura imperante del processo formativo. Figurativamente, ciò si può rappresentare con la metafora del discente inteso come “vaso da riempire”. Il maestro si occupa del versare la conoscenza nell’allievo, seguendo una sorta di Legge di gravità (non a caso “dall’alto verso il basso”).
Passando al nostro secondo termine, notiamo che “insegnare” deriva invece dal latino insignare, composto da in (dentro) e da signare (mettere un segno, incidere).
Mettere un segno all’interno dell’allievo con cui si sta lavorando, una responsabilità enorme per il maestro che con questo modello ha sì l’opportunità di far crescere realmente il soggetto, ma corre parallelamente il rischio di creare danni – ahimè a volte permanenti – se non lavora come si deve.
Già, e chi lo dice come si lavora come si deve? Stiamo attenti a chi ce lo vuole… insegnare (André Gide, Premio Nobel per la Letteratura nel 1947, sosteneva: “Fidati di chi cerca la verità, diffida da chi l’ha trovata”).
Semplificando al massimo, ma giusto per non addentrarci in troppi tecnicismi, possiamo affermare che la Didattica contemporanea è da molti anni debitrice del modello Costruttivista (che a suo tempo ha soppiantato il Cognitivismo, il quale aveva a suo tempo soppiantato il Comportamentismo, che tempo addietro… Ok, poniamo fine a questa parentesi!). In quest’ottica, la realtà – sempre semplificando al massimo – è una costruzione del soggetto che apprende. Chi insegna quindi non si pone certo come il gerarchico maestro che abbiamo incontrato prima, bensì come facilitatore.
Attenzione, il facilitatore non significa che rende facile ciò che insegna! Troppi sono caduti nell’equivoco. Se una cosa è difficile nella sua sostanza, rimarrà tale. Non ci sono scorciatoie. Ci sono però dei modi di affrontare l’apprendimento con maggiore efficacia (dettata dall’esperienza, dalle competenze, dalla sensibilità e quant’altro si voglia…del nostro facilitatore).
Facciamo un esempio, il più evidente possibile per comprendere al meglio il concetto. Se un soggetto vuole scalare una montagna, è meglio che qualcheduno gli dica che ci sono altre calzature più adatte rispetto le sue scarpe da ginnastica… (con le quali, in altri contesti, cammina peraltro benissimo!).
Concludiamo con una figura che possa rappresentare la metafora di questo approccio. Se con il primo termine, trasmettere, abbiamo usato quella dell’allievo come vaso da riempire, in questo nostro secondo caso, l’insegnare, ricorriamo ad un'altra figura: l’allievo come “fuoco da accendere”.
Massimo Gramellini, nel suo consigliatissimo libro “Prima che tu venga al mondo” (Milano, Solferino, 2019) scriveva, rivolgendosi a suo figlio che stava per nascere: Qualcuno ti dirà che la scuola serve solo se riesce a trovarti un lavoro. Non credergli. La scuola serve se riesce a fornirti gli strumenti per gestire un sentimento, smascherare un ciarlatano e ammirare un tramonto, non solo una vetrina.
Mi sembrano le parole di un ottimo insegnante, facilitatore…
…e, per fortuna, non è un addetto ai lavori.
Te lo dico all’orecchio
Sandro Ghini
Oggi ti lascio da ascoltare uno dei libri che abbiamo usato nella formazione intensiva appena conclusa.
Si tratta di L’incredibile viaggio delle Piante di Stefano Mancuso, di cui ti lascio il link per l’ascolto su Audible nella lettura di Paolo Giordano; un testo ottimo per approcciare la lettura ad alta voce, una prosa cristallina e limpida che scorre tra le labbra.